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Cecilia Zecchinelli per il Corriere della Sera
Ieri doveva essere un giorno di festa, l'anniversario del 6 ottobre per l'attacco a Israele nel 1973. E doveva essere l'orgogliosa celebrazione nazionale, come ogni anno, delle Forze armate d'Egitto. à stata invece un'altra giornata di morte e violenza, di battaglie per le strade e paura. La prova che per il più importante Paese arabo il ritorno alla normalità è lontano, che non è bastato deporre il raìs islamico Mohammad Morsi, il 3 luglio, per voltare pagina.
Sono stati almeno 44 ieri i morti, più di 200 i feriti, oltre 400 gli arrestati. Tutte le vittime erano civili, quasi tutti sostenitori della Fratellanza uccisi dalle forze di sicurezza, quasi tutti al Cairo, anche se scontri violenti si sono avuti nelle città del Canale, nel Sud e nel Delta. Da venerdì, quando già c'erano stati quattro morti in cortei pro Morsi, piazza Tahrir e il palazzo presidenziale al Cairo erano stati chiusi con filo spinato e blindati «almeno per quattro giorni».
I militari, il cui capo generale Abdel Fattah Al Sisi aveva guidato il golpe ed è ora reggente de facto con tanto di leggi d'emergenza a dargli immensi poteri, avevano avvertito: «Il 6 ottobre, chi protesterà contro le Forze Armate sarà considerato un agente di Stati stranieri e trattato di conseguenza». Simili minacce erano arrivate anche dal fronte laico schierato contro la Fratellanza.
«La guerra del 1973 ha respinto il terrorismo di Israele, chiunque ora si opponga alle celebrazioni sarà considerato un nemico sionista», aveva dichiarato Tamarod (ribellione), il controverso movimento di giovani divenuto celebre per le massicce proteste anti Morsi in giugno.
Da ieri mattina, mentre su Tahrir volavano stormi di caccia e elicotteri Apache, la megalopoli attendeva possibili scontri tra le due parti. In migliaia osannanti all'«eroico» Al Sisi confluivano a Tahrir, mentre altre migliaia per i quali il generale è invece «assassino» cercavano di formare cortei in varie zone.
Le Forze di sicurezza, appoggiate da squadre di civili, hanno di fatto impedito gli scontri tra i due fronti, respingendo con armi automatiche e lacrimogeni i manifestanti islamici, armati di molotov, pietre e fucili a pallini. Gli scontri sono durati ore, anche in quartieri chic come Garden City e Doqqi. Perfino dentro al Nilo, con manifestanti che fuggivano a nuoto, lance della polizia che li inseguivano.
In serata, mentre il fumo nero si levava ancora in molte zone, il premier ad interim Hazem Beblawi si è appellato in tv agli egiziani perché «stiano uniti, guardando al futuro con ottimismo». Ma ottimismo e unità sono parole che l'Egitto oggi non conosce. Anche il recente appello di Catherine Ashton, capo della diplomazia Ue, per un «dialogo nazionale» era caduto nel vuoto.
Perché il Paese resta polarizzato. I tentativi di Al Sisi e alleati di liberarsi dei Fratelli musulmani non è (ancora) riuscito: nonostante l'arresto di tutti i leader e di migliaia di membri, gli oltre mille Fratelli uccisi da luglio e la sentenza che ha vietato il movimento, le proteste vanno avanti.
E poi, anche tra gli alleati di Al Sisi le crepe si stanno allargando. Il più importante movimento di giovani della Rivoluzione del 2011, il 6 Aprile, ha abbandonato la costituente per i troppi poteri che esigono i militari. Il Nobel Mohammad ElBaradei, dopo le dimissioni da vice raìs per la strage del 14 agosto, continua a esprimere dissenso per il pugno di ferro di Al Sisi, da cui anche lâex candidato presidenziale Abu Al Futuh ha preso le distanze. Critiche arrivano perfino dai salafiti che avevano appoggiato il colpo di Stato. Nessuno di loro si schiera con la Fratellanza, ma nessuno è nemmeno sceso in piazza ieri a celebrare le Forze armate.
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