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Paolo Biondani per http://espresso.repubblica.it
Per fare affari a Sesto San Giovanni bisognava pagare il pizzo ai consulenti rossi? Ridotta all'essenziale, è questa la domanda al centro delle indagini sul presunto sistema di tangenti che per oltre un decennio avrebbe fatto capo a Filippo Penati, leader dei democratici in Lombardia fino al luglio 2011, quando le accuse di concussione, corruzione e finanziamento illecito lo hanno spinto a auto-sospendersi dal partito, senza però dimettersi dal consiglio regionale.
In queste settimane i pm di Monza, dopo aver chiuso la prima fase dell'inchiesta, hanno aperto altri filoni d'indagine. Scoprendo nuovi versamenti sospetti, mascherati da incarichi professionali, che secondo la procura nasconderebbero una sorta di dazio politico. Applicato perfino ai big dell'imprenditoria nazionale.
Edoardo Caltagirone, fratello e socio di Francesco Gaetano Caltagirone, immobiliarista e industriale del cemento con interessi dalle banche all'editoria, è uno dei più ricchi costruttori italiani. A Sesto, roccaforte rossa alle porte di Milano, Edoardo Caltagirone ha comprato in più riprese, a partire dagli anni Novanta, una parte dell'enorme area delle ex acciaierie Falck, dove finora ha costruito un grosso centro commerciale.
Ora la procura di Monza sta ricostruendo i retroscena della compravendita dei terreni non ancora edificati. E tra le carte sequestrate dalla Guardia di Finanza c'è un giro di fatture per almeno 275 mila euro, che documentano una triangolazione molto sospetta.
Per chiarire l'affare la Procura avrebbe già sentito Edoardo Caltagirone come testimone, in quanto considerato vittima di una possibile concussione. L'imprenditore ha confermato ai pm che già una decina di anni fa, quando comprò l'ultimo pezzo di area Falck, fu indotto a pagare circa 275 mila euro a un intermediario siciliano, un certo Salvatore Patti.
Il problema è che quest'ultimo non risulta aver svolto alcuna attività di mediazione: si è limitato a girare l'intera somma a un altro professionista siciliano, Francesco Agnello. Vale a dire, proprio il consulente che è da tempo indagato come presunto collettore delle tangenti rosse (mascherate proprio da consulenze) destinate al partito di Penati.
Altra circostanza singolare: quei soldi sono girati, sulla carta, tra due persone che non si sono mai conosciute. Edoardo Caltagirone avrebbe infatti confermato di non aver mai trattato con Patti: gli fu detto di intestare la fattura a lui perché così voleva l'effettivo beneficiario, ovvero Agnello, che evidentemente preferiva non essere collegato agli affari di Sesto. A sua volta il figlio di Patti, che nel frattempo è morto, ha ribadito che né lui né il padre avevano mai conosciuto né lavorato per Edoardo Caltagirone.
Questa stranissima consulenza tra sconosciuti è solo la tappa di partenza di una nuova indagine che sta ripercorrendo tutta l'evoluzione urbanistica dell'area ex Falck, fino agli ultimi mesi. I pm Walter Mapelli e Franca Macchia puntano a verificare se Edoardo Caltagirone e altri immobiliaristi si siano visti imporre, dopo Agnello, i nomi di altri professionisti, come condizione per ottenere il via libera politico ai maxi-progetti in cantiere.
Tra il 2009 e il 2010 Edoardo Caltagirone e sua figlia Elisabetta hanno illustrato a Sesto un piano edilizio da centinaia di milioni, non ancora attuato, chiamato "Caltacity": palazzoni residenziali per migliaia di abitanti.
Il primo a parlare di Agnello come presunto tesoriere rosso fu Giuseppe Pasini, uno dei due imprenditori che accusano Penati. La difesa lo ha contestato con forza, facendo notare che Pasini si era candidato per il centrodestra a Sesto e dunque va considerato un nemico politico. Ora a complicare il quadro c'è la nuova indagine con le rivelazioni di Edoardo Caltagirone.
Che ai pm avrebbe raccontato di essersi sentito suggerire il nome di Agnello già prima del 2000, quando a trattare la vendita delle aree era ancora il rappresentante della famiglia Falck. Come dire che a Sesto il consulente rosso va pagato comunque, anche se la proprietà cambia. In attesa dei primi verdetti dei giudici, una cosa è certa: il caso Penati è tutt'altro che chiuso.
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