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Marco Palombi per “il Fatto Quotidiano”
carlo fuortes pier carlo padoan e consorte
Nell’aula della Camera ieri succedeva di tutto: proteste, accuse, assalti ai banchi della presidenza, espulsioni e anche tanta noia per una sessione di bilancio che si conclude con l’ennesima umiliazione di un Parlamento espropriato della funzione legislativa. Solo una cosa non s’è vista ieri a Montecitorio: Pier Carlo Padoan, il primo ministro dell’Economia nella storia della Repubblica a non farsi praticamente mai vedere alle Camere durante la sessione di bilancio e nemmeno nel giorno dell’approvazione finale della legge di Stabilità (è successo ieri in serata). “Ha notizie del ministro dell’Economia?”, chiedeva ironicamente il leghista Guido Guidesi alla presidente della Camera Laura Boldrini. “Fa l’anguilla”, dicevano i piddini in Transatlantico. “Oppure prepara il trasloco”, intendendo al Quirinale: “D’altronde è il più forte dei candidati deboli”.
ORMAI PADOAN gioca tutto il suo profilo di ministro nel rapporto con Renzi, uno che peraltro non ama i rapporti paritari. Ieri, per dire, il ministro non ha trovato la strada del Parlamento, ma quella del Nazareno sì, dove ha partecipato con Matteo Renzi a una bicchierata con dipendenti e dirigenti del Pd per gli auguri di Natale. E non risulta che Padoan sia né l’una, né l’altra cosa. In queste ultime due settimane s’è di fatto lasciato commissariare dal premier e dalla struttura tecnica di palazzo Chigi senza dire una parola. Renzi s’è riscritto il maxi-emendamento coi suoi – facendo finta di cancellare le mance inserite in Senato (vedi accanto) – e costringendo la struttura del Tesoro, Ragioneria generale in testa, a bollinare tutto nonostante evidenti mancanze censurate dai Servizi Studi delle due Camere.
Al ministero dell’Economia è stato lasciato generosamente il compito di intestarsi pubblicamente la figuraccia del maxi-emendamento sbagliato, incompleto e votato dal Senato senza che nessuno ne avesse davvero esaminato i contenuti (e il condono alle sale scommesse illegali o la stangata sulle piccole partite Iva sono solo due esempi di cosa può sfuggire in casi come questo). Il mestiere di Padoan, in questo momento, è essere fedele a Renzi, perché ha cominciato davvero a credere di poter andare al Quirinale: tra le Pinotti o i Gentiloni è sicuramente quello col peso specifico maggiore,soprattutto internazionale, e venendo dal vecchio Pci e dalla collaborazione con Massimo D’Alema potrebbe non dispiacere pure all’ala anti-renziana del Pd. Ma tutto questo senza la gentile benedizione del capo non servirebbe a niente e dunque il nostro fa quel che deve per averla.
INTANTO NELL’AULA che non ha avuto il bene di vederlo, la sua legge di Stabilità veniva approvata in mezzo alla guerriglia dell’opposizione, Movimento 5 Stelle in testa. Volavano pure parole pesanti: “Mentre si prendono a schiaffi i lavoratori aumentando le tasse su Tfr e sui fondi pensione, tassando anche le assicurazioni sulla vita, si fanno pagare soltanto 10 mila euro a chi esercita illegalmente il gioco d’azzardo. Per fare questa porcheria è evidente che, all’interno di questo governo, qualcuno è stato prezzolato”, ha scandito Massimo Corsaro, deputato di Fratelli d’Italia. Nel frattempo, su Twitter, Giorgia Meloni tirava in ballo anche lo stesso premier: “Perché queste continue marchette Renzi? Chi prende i soldi dal gioco d’azzardo?”.
Era stato il Movimento 5 Stelle, in realtà, a cominciare la battaglia sui favori alle società che si occupano di giochi sottolineando anche la presenza in Senato, nei giorni caldi della finanziaria, di Antonio Porsia, amministratore unico dell’Hbg Gaming, uno dei colossi del gioco d’azzardo specializzato in “Bingo” e slot machine.
Anche per protestare contro il condono sui giochi, ieri i deputati M5S si sono per tre volte, nel corso della giornata, lanciati in una sorta di assalto ai banchi del governo tentando di occuparli ed esporre striscioni. Le scritte: “Vergogna”, “Ladri di Pellet” (riferimento all’aumento dell’Iva dal 10 al 22% sulla segatura compressa per le stufe che favorisce i colossi del gas come Eni). Il risultato: 15 grillini espulsi dall’aula in tutto nelle tre diverse ondate. Anche intorno alle nove - mentre Gianfranco Librandi di Scelta Civica esponeva le ragioni del sì del suo partito alla manovra - il presidente di turno, Roberto Giachetti, ha pensato che fosse scoppiata una nuova contestazione quando il deputato di Forza Italia Luigi Cesaro, detto Giggino ‘a Purpetta, è esploso in un urlo belluino. La legge di Stabilità non c’entrava, però. Aveva solo pareggiato il Napoli.
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