DAGOREPORT - 'STO DOCUMENTO, LO VOI O NON LO VOI? GROSSA INCAZZATURA A PALAZZO CHIGI VERSO IL…
1. ASSOLTI? C’È SEMPRE UN PERÒ
Michele Ainis per il “Corriere della Sera” ripubblicato da “il Foglio del lunedì”
Ego te absolvo, sussurra il prete dietro la grata del confessionale. Ma se lo dice il giudice allora no, non vale. In Italia ogni assoluzione è un’opinione, per definizione opinabile o fallace; e d’altronde ogni processo è già una pena, talvolta più lunga d’un ergastolo. Ultimo caso: Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano arrestato nel 1995 per concorso esterno in associazione mafiosa, prosciolto 25 anni più tardi dalla Cassazione, dopo una giostra d’appelli e contrappelli, dopo 22 mesi di detenzione, dopo la gogna e la vergogna. E adesso assolto di nuovo in primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Reazioni: sì, però...
C’è sempre un però, c’è sempre una virgola della sentenza d’assoluzione che si lascia interpretare come mezza condanna (in questo caso l’insufficienza delle prove), o magari c’è una dichiarazione troppo esultante del prosciolto, un suo tratto somatico tal quale la smorfia di Riina, una corrente d’antipatia che nessun verdetto giudiziario riuscirà mai a sedare. Mannino sarà anche innocente, però non esageri, ha detto l’ex pm Antonio Ingroia in un’intervista a Libero.
Lui invece esagera, come fanno per mestiere i romanzieri; e infatti ci ha promesso in dono un romanzo col quale svelerà le intercettazioni di Napolitano. Peccato che pure stavolta ci sia di mezzo una sentenza, oltretutto firmata dal giudice più alto. Giacché nel 2013 la Corte costituzionale – per tutelare la riservatezza del capo dello Stato – impose l’immediata distruzione dei nastri registrati, e dunque i nastri sono stati inceneriti, anche se nessuno può incenerire la memoria di chi li ascoltò a suo tempo. Come Ingroia, per l’appunto.
Risultato: la Consulta ha sancito l’innocenza «istituzionale» dell’ex presidente, l’ex magistrato ne dichiara la colpa. Risultato bis: anche in questo caso non conta il giudizio, conta il pregiudizio.
GNAM MAGGIORE PER CALOGERO MANNINO
Mannino nel 1983 ministro dell Agricoltura in Lussemburgo
Potremmo aggiungere molte altre figurine a quest’album processuale. Potremmo rievocare le maestre di Rignano: nel 2006 imputate di violenza sessuale sui bambini, assolte per due volte in tribunale, però sempre colpevoli secondo i genitori, tanto che hanno smesso d’insegnare. O altrimenti potremmo citare il caso di Raffaele Sollecito: assolto anche lui per il delitto di Perugia, dopo un ping pong giudiziario di 8 anni; qualche giorno fa vince un bando della Regione Puglia per creare una start up , e s’alzano in coro gli indignati.
Insomma, alle nostre latitudini l’unica prova certa è quella che ti spedisce in galera, non la prova d’innocenza. E allora la domanda è una soltanto: perché? Quale virus intestinale ci brucia nello stomaco, trasformandoci in un popolo incredulo e inclemente? Chissà, forse siamo colpevolisti perché abbiamo perso l’innocenza: la nostra, non la loro. Perché siamo vecchi e sfiduciati, dunque non crediamo più nei giudici come nei partiti, come nei sindacati, come nelle chiese.
Perché la giustizia ci ha deluso, e in effetti la storia è costellata d’errori giudiziari. Però sono più i dannati dei salvati: Dreyfus (Francia, 1894), Sacco e Vanzetti (Usa, 1927), Girolimoni (sempre nel 1927, ma in Italia), Valpreda (1969), Tortora (1983). Altrettante vittime innocenti d’uno strabismo processuale, nonostante il doppio grado di giudizio, nonostante il riesame in Cassazione.
RAFFAELE SOLLECITO E AMANDA KNOX
Domanda: ma se una sentenza può sbagliare, perché a un certo punto diventa inappellabile? Risposta: perché la verità assoluta non è di questo mondo, perché dobbiamo contentarci di verità parziali, convenzionali. E perché il diritto tende alla certezza, non alla comprensione filosofica. Quando ci rifiutiamo di prenderlo sul serio, quando respingiamo i suoi verdetti, la nostra insicurezza diventa ancora più acuta.
2. COSA FA NOTIZIA E COSA NON DEVE FARLA
Da “Italia Oggi” pubblicato da “il Foglio del lunedì”
Le regole del giornalismo sono molto semplici. E si basano, ad esempio, sul principio che se un cane morde un bambino non è una notizia mentre se un bambino morde un cane lo è. E quindi se un ragioniere di Caserta sottrae, alla cassa della sua impresa, 500 mila euro per spenderli con ballerine (come si diceva un tempo) merita, al massimo, l’attenzione del giornale locale. Invece se la stessa cifra la fa fuori un monsignore ex abate di Montecassino, questa vicenda merita intere paginate, con foto e dichiarazioni di esperti.
LA SCARCERAZIONE DELLE MAESTRE DI RIGNANO FLAMINIO
Il furto è lo stesso del ragioniere mentre il protagonista è diverso. Allora, perché la notizia di un ex magistrato colto a letto in albergo con un minorenne romeno l’hanno appresa solo i lettori della cronaca milanese del Corsera (ma senza il nome del magistrato) e nessun altro? È una notizia che danneggia la magistratura? No, perché è la magistratura che ha fatto il suo dovere arrestando il pedofilo. E allora perché questa notizia è stata censurata? Se non vogliamo perdere la faccia dovremmo aprire un dibattito pubblico su questa omissione.
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