IO PAGO, TU MI AMMAZZI - IL CASO D’AMICO PROVA CHE PER MORIRE DA SANI BASTA UN MEDICO COMPIACENTE E UN PO’ DI QUATTRINI

1 - IL SUICIDIO ASSISTITO È SEMPRE UNO SCANDALO
Da "il Foglio"

La vicenda di Pietro D'Amico, il magistrato calabrese morto per suicidio assistito in una clinica di Basilea (dall'atroce nome, viste le circostanze, di Lifecircle), torna in prima pagina sui giornali italiani. Si è scoperto, grazie ai famigliari - la moglie, la figlia, i fratelli - non rassegnati a quella fine violenta, che le certificazioni dell'"incurabile patologia" esibite da D'Amico per ottenere la flebo letale non dicevano la verità: non c'era nessuna malattia incurabile in corso.

Ora, è certamente fondamentale sapere se la volontà di morire del giudice e la sua profonda depressione fossero o meno legate a quella diagnosi errata. Oppure, al contrario, se le certificazioni fallaci - delle quali, colpevolmente, i solerti erogatori della morte su richiesta non hanno accertato la fondatezza, come pure erano tenuti a fare - fossero state costruite proprio per volontà di D'Amico, per ottenere più facilmente il suicidio assistito.

Ma è altrettanto importante sottolineare che, sempre in Svizzera, l'ex fondatore del manifesto, Lucio Magri, uomo gravemente depresso ma non afflitto da mali incurabili - a meno che non ci sia qualcuno disposto a sostenere senza timore di essere smentito che la sua depressione lo fosse: ma su che basi? - ha ottenuto la sua dose letale di farmaco solo in base a una reiterata richiesta.

L'amica Rossana Rossanda, che aveva accettato di accompagnarlo in Svizzera per l'ultimo viaggio, ha poi raccontato a Repubblica di aver immaginato per lui una morte serena, "come accadeva nell'antichità", e che invece è stata "un'esperienza terribile". Terribile è chiamare diritto alla buona morte quell'arbitrio assoluto, oscenamente travestito da pietà.


2 - DA BASILEA PROVE DEFINITIVE: QUEL SUICIDIO NON ERA POSSIBILE
Sandra Amurri per "il Fatto Quotidiano"

Pietro D'Amico, 62 anni, sostituto procuratore di Catanzaro, che ha scelto il suicidio assistito a Basilea, non era affetto da alcuna malattia incurabile. A rivelarlo - in esclusiva a Il Fatto nell'edizione di domenica scorsa - la figlia Francesca, come accertato dalla prima valutazione dell'autopsia eseguita dall'Institut Für Rechtsmedizin der Universität di Basilea diretto dal professor dr V. Dittmann, alla presenza del medico legale di parte, la dottoressa Bonetti di Modena.

Ieri, eliminando ogni dubbio, è arrivato anche l'esito dell'esame istologico: il magistrato calabrese non era affetto dalla malattia descritta sui certificati redatti da due medici italiani, da due svizzeri e dalla dottoressa Erika Preisig, che ha praticato la "dolce morte", o da altre patologie a carattere irreversibile o degenerativo. Medici che avrebbero scambiato, per errore o per compiacenza, dietro compenso (ma questo spetterà alla magistratura dei due Stati in causa accertarlo), il suo stato depressivo con una malattia dall'esito letale.

Depressione che, come torna a spiegare Francesca aIl Fatto, non era conseguenza della vicenda giudiziaria che lo coinvolse come indagato nell'inchiesta "Why Not" condotta dall'allora pm Luigi de Magistris dalla quale uscì indenne: "Si è trattato certamente di un momento spiacevole per lui e per tutti coloro che conoscevano e stimavano il rigore e l'impegno con cui si è sempre dedicato alla professione. Mio padre era offeso e deluso per le accuse che gli erano state rivolte, ma era certo che la sua estraneità ai fatti sarebbe stata provata, come è poi avvenuto".

Francesca D'Amico, laureanda in Medicina, giovane donna dai tratti delicati e dal parlare rigoroso, ribadisce che il suo "personale intento è quello di informare l'opinione pubblica e le autorità sulle modalità con cui si sono svolti i fatti nel pieno rispetto del pensiero e dei sentimenti di tutti. La scelta di mio padre merita comprensione, ma questo non significa che chi l'ha assecondato e aiutato a suicidarsi fosse legittimato a farlo, come confermano anche gli ultimi risultati dell'indagine medico legale".

Il papà, continua la figlia, "non era affetto dalla patologia ritenuta dai medici svizzeri requisito sufficiente per accedere all'assistenza al suicidio. Per questo ritengo che l'esigenza di fare chiarezza debba essere condivisa anche da coloro che si battono con onestà a favore di questa pratica e più in generale per una morte serena e dignitosa. Questo caso è emblematico e riguarda tutta la società in una prospettiva al di là del diritto dei singoli Stati. È necessario che gli ordinamenti civili giungano quanto prima alla regolamentazione di queste procedure a garanzia di tutti i cittadini, specialmente quelli che vivono situazioni di sofferenza e isolamento, anche se volontario".

Il rischio concreto, secondo la D'Amico, è il "permettere che qualcuno, specialmente chi svolge la professione medica, possa porsi di fronte alla vita umana con un atteggiamento superficiale, negligente e possa disporre autonomamente della vita di altri, tanto più se a pagamento".

Il giudice D'Amico, tre anni prima, aveva versato un bonifico di 8.500 euro all'associazione "Dignitas" per esporgli il suo caso, che venne rigettato per mancanza di requisiti: malattia incurabile in stadio terminale, tanto che poi si rivolse alla dottoressa Preisig, dipendente della Dignitas, prima di fondare la Lifecircle. "Papà non avrebbe mai avuto il coraggio di togliersi la vita se non fosse stato assecondato. Il suo era un disagio emotivo, che lo portava a simulare i sintomi. Andava aiutato a vivere, non a morire".

Se l'avvocato Gennaro Falco, con il collega italo-svizzero Alberto Nanni, non fossero riusciti a bloccare la cremazione e richiedere l'autopsia, la verità sarebbe sparita insieme con la vita del magistrato. Nulla sarebbe trapelato delle modalità adottate dalla dottoressa Preisig che, racconta Francesca, opera in una "stanza non attrezzata alla rianimazione anche per un'ultima esitazione del paziente" dove, "aiutata dal fratello Ruedi che filma la scena, istruisce il paziente ad attivare la flebo contenente il farmaco letale, poi chiama il procuratore di Basilea e il medico legale per attestare il decesso".

Preisig, che ha dichiarato: "Pietro era affetto da una patologia degenerativa invisibile agli strumenti medici". Invisibile, forse, semplicemente perché inesistente, come ha accertato l'autopsia.

 

 

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