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Francesca Sforza per “la Stampa”
Impertinenti, inopportune, inaccettabili»: è questa l' aggettivazione che la diplomazia turca ha usato per definire le dichiarazioni del premier italiano Mario Draghi a proposito del presidente turco Erdogan («un dittatore di cui si ha bisogno»). Ankara chiede senza mezzi termini che quelle dichiarazioni vengano «immediatamente ritirate», ma forse si accontenterebbe di una telefonata di scuse.
Le scuse tuttavia non arriveranno, se si guarda alla linea assunta dal governo italiano nei confronti della Turchia non da ieri, ma almeno dall' ultimo Eurosummit del 25 marzo scorso, quando Draghi ha duramente criticato lo stato di diritto turco e l' uscita dalla Convenzione di Istanbul.
Oltre agli americani, tradizionalmente su questa posizione, il premier Draghi incontra il sostegno dell' opinione pubblica e dell' intero arco parlamentare italiano - ostile alla Turchia in chiave anti-islamica a destra e filo-curda a sinistra - e ieri ha anche incassato il sostegno del Ppe, che con Manfed Weber ha dichiarato: «Con la Turchia meglio parlare chiaro e togliere dal tavolo la procedura di allargamento dell' Unione».
Tutto bene dunque? Insomma, perché i nostri interessi con la Turchia ammontano al momento a circa 20 miliardi di interscambio l' anno - ambienti vicini a Leonardo vedevano in bilico, ieri, la commessa per l' acquisto di 15 elicotteri, tanto per cominciare - e poi ci sono i nostri interessi geopolitici nel Mediterraneo.
Negli ultimi anni, a fatica, con la tecnica di due passi avanti e uno indietro, l' Italia era comunque riuscita a ritagliarsi uno spazietto strategico nell' area, che con la Libia da ricostruire aveva i margini per diventare più largo. L' imperfetto però a questo punto è d' obbligo, perché in quella zona sono due i Paesi con cui bisogna dialogare: uno è l' Egitto - con cui i rapporti sono congelati per via del caso Regeni - e l' altro è la Turchia.
I sostenitori della linea moderata, che tradizionalmente sul dossier turco dimorano al Ministero degli Esteri, hanno già cominciato a mettere sul tavolo possibili soluzioni. Ma anche lì, si fatica a trovare una traiettoria, almeno stando a una delle poche dichiarazioni rilasciate: «Coordineremo tutte quelle iniziative che si devono coordinare», ha detto il ministro Di Maio nel corso di una trasmissione tv.
Da una parte c' è la gestione del breve e medio termine - chi conosce la diplomazia turca sa che la tecnica dell' attendismo, del rinvio, del lasciar decantare nell' attesa che passi la bufera, è destinata a fallire - dall' altra quella del lungo termine, che riguarda la collocazione strategica italiana futura.
recep tayyip erdogan e angela merkel 1
Ci si chiede se non siamo all' alba di un cambio strutturale della politica estera nazionale, un turning point che potrebbe vederci sostanzialmente fuori dal Mediterraneo che conta, più vicini a Stati Uniti e Francia, più lontani da Berlino.
I più preoccupati sembrano essere proprio i tedeschi, che ieri si sono mossi alla ricerca di spiegazioni per capire come regolarsi: se anche l' Italia si sposta su posizioni decisamente antiturche come già la Francia, Grecia e Cipro, come sarà possibile condurre una mediazione nell' area del Mediterraneo orientale? Che i tedeschi ci vengano dietro è da escludere, non fosse altro per la composizione etnica delle loro città: un problema con la Turchia diventerebbe un problema di politica interna nell' arco di ventiquattr' ore.
mario draghi emmanuel macron 2
Mai come questo momento l' ancoraggio a Bruxelles sembra quello da cui gli interessi italiani possono venire difesi al meglio. Anche se mai come dopo il Sofà-Gate le fragilità dell' Unione sono sembrate tanto grandi.
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