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1. BOSSI SCEGLIE MARCHINI
«Tra la Meloni e Marchini io voterei Marchini, ma possono ancora mettersi d’accordo». Per le comunali di Roma, Umberto Bossi vira sul candidato di Ncd e Fi e non per la candidata di Lega e Fdi
2. IL PARTITO DELLA NAZIONE DI ALFIO
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Eccolo il Partito della nazione: doveva farlo Matteo Renzi, lo sta costruendo Alfio Marchini. Certo, è un edificio in miniatura, limitato (per ora) al voto nella Capitale. Ma il progetto è speculare a quello del leader democratico, solo che muove in direzione opposta: parte dal centro (destra) per conquistare anche l’opinione pubblica di sinistra. Con un elettore d’eccezione.
«Chi ama Roma mi vota», sorride Marchini, come a voler accreditare — senza esporsi — la tesi che va per la maggiore nel Palazzo, da quando Massimo D’Alema ha bocciato la scelta del Pd di puntare su Roberto Giachetti: «Non è adatto», sentenziò. E siccome la grillina Virginia Raggi non è politicamente il suo tipo, e Giorgia Meloni — per dirla con i suoi compagni — «per lui è troppo di sinistra», non resta che Marchini nel lotto dei possibili vincenti nella sfida per il Campidoglio.
È vero che Marchini sostiene di non sentire «Massimo da qualche tempo», ma il muro della riservatezza è fragile e infatti cede: «... Eppoi, dato che in famiglia comandano mogli e figli, io punto al voto di sua moglie, Linda Giuva. E lei, che è un’amica, non potrà dirmi di no». Insomma, due voti li considera sicuri.
D’altronde i rapporti tra il líder maximo e l’erede della dinastia romana «calce e martello» hanno fondamenta profonde. Fu a casa di Marchini che D’Alema incontrò Francesco Cossiga per organizzare il «dopo Prodi», fu a casa di Marchini che D’Alema — diventato premier — conobbe il gran regista di Mediobanca Enrico Cuccia, c’era anche Marchini tra i soci fondatori di Italiani-Europei, e prima ancora tra gli azionisti dell’ Unità quando D’Alema era a capo dei Ds.
Perciò non sarebbe sorprendente vedere l’uomo forte della sinistra Anni Novanta a fianco del candidato sindaco. Se non fosse che oggi a braccetto dell’«amico Alfio» si è aggiunto — nientepopodimenoche — Silvio Berlusconi. E più si avvicina la data delle urne più l’autobus di Marchini si affolla e pende a destra, se è vero che ieri persino Umberto Bossi — in avversione a Matteo Salvini — ha fatto l’endorsement per Marchini.
In questa faccenda che sa di regolamento di conti generazionale tra il vecchio e nuovo centrodestra, D’Alema non c’entra e forse potrebbe avere qualche imbarazzo a trovarsi seduto a fianco dell’antico rivale. O forse no, dato che Marchini invita a «smetterla con il passato»: «Dopo settanta anni siamo ancora a Peppone e don Camillo? Non se ne può più». Così dicendo, apparecchia una bicamerale con vista Campidoglio.
Non è amarcord però. La verità è che un pezzo di sinistra storica romana fa il tifo per Marchini, senza preoccuparsi se insieme a lui ci sono i nemici di un tempo. Anzi, Duccio Trombadori, pittore e figlio di un famoso partigiano mandato al confino da Mussolini, in un’intervista al Dubbio ha detto di non aver problema a stare dalla parte di «Alfio e della nipote del Duce», Alessandra Mussolini, «che dimostra di essere persona capace di superare cose ormai del passato».
Ad alimentare a Roma la versione aggiornata di quel che fu in Sicilia il milazzismo è, per un verso, l’ostilità nei confronti di Renzi e della sua logica rottamatrice. Ma c’è anche la visione pragmatica di chi — come il sindaco di Torino, Piero Fassino — pur se schierato nel Pd dalla parte del premier, ritiene comunque che «Marchini sia l’unico nella Capitale a poter battere la Raggi al ballottaggio».
In effetti, dopo quindici anni di dissesto politico economico e infine morale, è possibile che i grillini conquistino il Campidoglio dopo aver aperto una breccia a Porta Pia, dopo aver incassato persino dal segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, un attestato a favore della loro candidata, «alla quale auguro ogni successo, di diventare quello che vuole diventare».
Ecco allora spiegata la funzione del Partito della nazione romano, che abbraccia ecumenicamente ciò che resta dell’impero berlusconiano, la vecchia Chiesa post-comunista e anche la Chiesa delle parrocchie. Perché Parolin non l’avrà citato, «ma in ogni oratorio in cui vado — racconta Marchini — il sagrestano mi viene ad accogliere e mi dice: “Ingegne’, noi sagrestani la votamo tutti”».
E chissà se D’Alema annuncerà davvero di votarlo, sotto la spinta della consorte. Per ora ha solo bocciato il candidato di Renzi, che sta sempre nei suoi pensieri, anche quando i compagni della minoranza lo cercano per il suo compleanno. È accaduto tre settimane fa, mentre era a New York, da dove ha risposto agli auguri con il solito tono: «Siete senza spina dorsale, diciamo.
MARCHINI BOSSI LINDA GIUVA D ALEMA BOSSI
massimo dalema con la moglie linda giuva
Quello è un problema per l’Italia, sta liquidando il partito e voi niente». «In famiglia contano moglie e figli», ripete Marchini, che ha avuto modo di verificarlo un paio di mesi fa, quando gli si parò davanti Maurizio Gasparri, disperato: perché il Cavaliere puntava ancora su Bertolaso, «e mia figlia — confidò il dirigente forzista — è venuta a dirmi che vuole votare te, Alfio. L’ha pure scritto in rete». Mogli, figli, compagni e sagrestani. Tutti con Marchini. Alla vigilia.
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