PEZZI DI MERDOGAN - IL GOVERNO TURCO DICHIARA GUERRA A MILITARI E GIORNALISTI (CI SONO PIÙ CRONISTI IN CARCERE IN TURCHIA CHE IN CINA)

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Marco Ansaldo per "la Repubblica"

I militari e la stampa, due poteri fra i più forti in Turchia, sono ormai sotto il tacco di Erdogan. Il pugno del primo ministro, sempre più allergico alle critiche e accusato - ora anche dall'estero - di avere un'agenda islamica nascosta, si abbatte contro tutti coloro che gli si oppongono.

Ieri è stato condannato all'ergastolo quello che fino a solo tre anni fa era il comandante supremo delle Forze armate turche. E con lui mandate in carcere una serie di persone accusate di tentato golpe contro il governo islamico da 11 anni al potere. Ma in prigione, accusati spesso di terrorismo o addirittura per semplici reati di opinione, languono anche tanti giornalisti.

E hanno toccato adesso il numero di 60 quelli licenziati di recente, o che hanno dovuto lasciare la propria testata, per le critiche mosse al partito di governo dopo la rivolta "laica" di Piazza Taksim lo scorso giugno a Istanbul. Alcuni, ora, parlano addirittura di un clima di "maccartismo", di una caccia alle streghe lanciata contro chi non è allineato al pensiero dominante.

Che cosa sta succedendo in Turchia? La formazione al governo, che negli ultimi tempi ha mostrato segni di una matrice religiosa sempre più spiccata, sta serrando le fila contro coloro che, in maniera lecita o meno, la combattono. E il durissimo braccio di ferro in atto vede al momento trionfare il premier Recep Tayyip Erdogan, mentre il suo piglio autoritario riduce al tappeto gli ufficiali, secondo la Costituzione considerati come i garanti della laicità del Paese, e la libera stampa.

Un tribunale nei pressi di Istanbul ha infatti emesso la sentenza sul processo "Ergenekon", una presunta rete golpista formata da militari, giornalisti e accademici che avrebbe puntato a rovesciare il potere del governo islamico. Alla sbarra sono andati 275 imputati e, salvo 21 assoluzioni, gli altri sono stati condannati a pene dure.

Il nome più pesante è quello di Ilker Basbug, generale ed ex capo di Stato maggiore. Con lui molti altri ufficiali e civili, 25 dei quali dovranno scontare l'ergastolo. La decisione è stata accolta con rabbia dai sostenitori degli imputati, e centinaia di agenti in assetto anti-sommossa hanno dovuto sparare gas lacrimogeni per calmare la folla.

Il processo "Ergenekon", dal nome di un luogo di montagna nell'Asia centrale che secondo la leggenda custodisce la patria ancestrale del popolo turco, è considerato una prova chiave per la tenuta del governo. Le indagini furono avviate nel luglio del 2007, dopo la scoperta da parte della polizia di un deposito di armi intestato a un sergente in pensione, con 27 bombe a mano, piani e mappe militari, in una baraccopoli di Istanbul.

La magistratura ha giudicato gli imputati di aver creato «un'organizzazione terrorista per rovesciare il governo di Erdogan» manipolando i media, organizzando attentati e assassini politici (come quello tentato contro il premio Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk), per creare un clima favorevole a un golpe militare.

Ma oggi l'atmosfera in Turchia appare avvelenata dopo la dura repressione del movimento sorto a Piazza Taksim e nel vicino Gezi Park contro quelle che vengono percepite come imposizioni dal sapore religioso (una per tutte, le tasse sempre più alte contro gli alcolici).

A farne le spese è ora soprattutto la stampa. Una serie di nomi importanti, alcuni dei veri e propri totem della professione giornalistica, come quello dell'editorialista di Milliyet, Hasan Cemal, hanno dovuto lasciare il lavoro (Cemal oggi è impiegato presso il quotidiano online T24).

Negli ultimi giorni altri autori si aggiungono alla lista. Come quello dell'editorialista e conduttore di programmi tv Can Dundar, licenziato, secondo il quotidiano Radikal, per avere criticato il premier. Un altro caso illustre è anche quello di Yavuz Baydar, editorialista e ombudsman, cioè garante dei lettori, del quotidiano Sabah.

Il giornalista ha perso il lavoro dopo aver scritto un articolo per il New York Times in cui accusava i proprietari dei mezzi di comunicazione di massa turchi di avere un ruolo «vergognoso» nelle limitazioni della libertà di stampa. In una conferenza tenuta sotto l'egida della Ue, Baydar ha poi parlato di «una caccia alle streghe comparabile all'èra di Mc-Carthy». Ankara risulta adesso al 154° posto su 179 Paesi nella graduatoria della libertà della stampa nel mondo stilata da Reporters Senza Frontiere. Secondo i dati più recenti il numero di giornalisti in carcere in Turchia è più alto rispetto alla Cina.

 

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