IL PIERFURBY FATTO PIERFESSO - ”SCELTA CINICA” DI MONTI HA CANNIBALIZZATO L’UDC CHE SECONDO I SONDAGGI RISCHIA DI NON PRENDERE IL 4% E DI RESTARE FUORI DAL PARLAMENTO INSIEME CON I TIPINI FINI – CASINI SI DISPERA E TENTA DI SMARCARSI DALL’AGENDISTA STREGONE METTENDO IN GIRO VOCI DI INCIUCIO CON BERSANI: A PALAZZO MADAMA DOVREBBE ARRIVARCI CON 12 UDICCINI…

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Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

Sono in pochi a scommettere sulla durata della prossima legislatura, non solo Casini. Perché, se è vero quanto dice con una metafora Bocchino, e cioè che «nella politica italiana un F35 atterra almeno una volta a settimana in Parlamento», quanto potrebbe durare un governo che si reggesse su una maggioranza da Fini a Vendola?

Ma sono in pochi a scommettere anche sulla durata della coalizione montiana, che nelle intese sottoscritte all'atto della fondazione mira a diventare un partito, e che però - a detta di Bersani - «somiglia a un autobus più che a un'alleanza». La distanza mediatica che separa il Professore dal leader dell'Udc cela una diversa strategia, emersa nei giorni di gestazione del rassemblement e che si renderà manifesta dopo il voto, quando inizieranno le trattative per la formazione del governo.

Non è un caso se nelle relazioni tra Monti e Casini è cambiato tutto dal giorno in cui il capo centrista si è opposto all'idea della lista unica, sostenendo che «quello che non ho accettato con Berlusconi non lo accetterò adesso». L'autonomia rivendicata è stata pagata a caro prezzo: il capo dell'Udc lo ha capito quando gli è stato chiaro che non avrebbe potuto usare il brand di Monti sul proprio simbolo.

Di più. Casini, intenzionato a detenere il 50% dell'associazione, ha dovuto invece accettare i termini dei «patti parasociali» voluti dal Professore, che ha tenuto per sé il 60% delle quote e ne ha lasciato solo il 30% ai centristi, chiedendo in compenso che sostenessero il 35% delle spese per la campagna elettorale.

Tra i fedelissimi del premier c'è chi dice che Casini si sia sentito «gabbato, mentre è stato solo vittima di se stesso». L'ex presidente della Camera si rende conto che Scelta civica ha eroso consensi al suo partito, e lo dice, ma gli uomini di Monti chiedono di cosa si lamenti: «Magari perderà voti alla Camera, però guadagnerà seggi al Senato». Ed ecco il punto. È nel secondo tempo della partita che Casini medita di prendersi la rivincita. Se fossero realistiche le proiezioni, a Palazzo Madama dovrebbe arrivarci con 12 suoi rappresentanti: sarebbe un pacchetto di voti decisivo, nel caso in cui Bersani dovesse averne bisogno per il governo.

In quel momento il leader dei centristi potrebbe condizionare il negoziato sulla composizione dell'esecutivo, inserendo nella trattativa la presidenza del Senato. È «un gioco scoperto», di cui si discute a Palazzo Chigi.

Se così fosse, se Casini ottenesse per sé la seconda carica dello Stato, difficilmente il rassemblement del Professore potrebbe puntare a incarichi di rilievo nel governo: di sicuro non al ministero dell'Economia, che Bersani non vorrebbe comunque affidare a Monti; e nemmeno agli Esteri, dove si è prenotato per tempo D'Alema. Così nell'alleanza del Professore c'è chi - per mettere il bastone tra le ruote a Casini - lascia intendere che l'attuale premier avrebbe «il profilo giusto per fare il presidente del Senato».

Il fatto è che nella coalizione sono in molti a usare il nome di Monti per celare le proprie ambizioni personali. All'ombra del Professore, infatti, ognuno sta progettando il proprio futuro: Riccardi medita di guidare il partito che verrà, l'ex berlusconiano Mauro è intento a raggruppare le truppe, l'area di Italia Futura è un nucleo che sa già di componente... È come se si preparassero ai blocchi di partenza, in attesa di vedere se di qui a due anni il leader riuscirà a tornare a Bruxelles, per sostituire Van Rompuy alla presidenza del Consiglio europeo.

Il lascito, semmai ci sarà, è ancora lontano nel tempo. Oggi è in ballo la sfida elettorale e quella per il governo del Paese. E Monti continua a marcare il primato sulla coalizione, tenendo a distanza i propri alleati, usando il linguaggio dell'antipolitica che sta portando i centristi di Casini sull'orlo di una crisi di nervi. «Non può far piacere sentirlo quando spara indistintamente sui partiti» ammette l'udc Galletti: Un conto è Grillo, ma se lo fa Monti...».

Il primo tempo della sfida è già iniziato, il secondo comincerà all'apertura delle urne. Perché se il Professore arrivasse al 15%, eguaglierebbe appena il risultato della Margherita guidata da Rutelli nel 2001. Con la differenza che allora i Ds erano al 20%, mentre oggi il Pd è oltre il 30%. Sarebbe un «risultato insoddisfacente», ha detto l'altro ieri Casini, come ad anticipare la resa dei conti.

 

 

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