DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alessandra Longo per “la Repubblica”
RENZI COL GELATO A PALAZZO CHIGI
Il premier Matteo Renzi ha commissariato il piano banda ultralarga da 6,6 miliardi di euro pubblici, extrema ratio per uscire dallo stallo. Al piano (2014-2020) è affidato il compito di dotare l’Italia di una rete paragonabile a quelle delle altre economie europee. A quanto risulta, Renzi ha preso in mano il piano, studiandone la fattibilità con Antonella Manzione, capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.
Era stato proprio Renzi, con la consulenza di Manzione, a bocciare il mese scorso il decreto legge Comunicazioni, che doveva contenere le principali misure attuative di quel piano. Il problema: il decreto chiedeva uno stanziamento di 4,6 miliardi di euro di fondi pubblici nazionali (parte di quei 6,6) senza offrire ancora chiarezza sui tempi e i modi di attuazione di quelle misure. Non a caso, Raffaele Tiscar — che a Palazzo Chigi ha coordinato i lavori del piano — ha annunciato questo mese che il governo comincerà a spendere i soldi pubblici (solo) “dalla primavera 2016”. Ossia piuttosto tardi rispetto al previsto (si parlava di autunno 2015).
Ecco perché in questi giorni è cresciuto il nervosismo non solo dell’industria ma anche dalle Regioni. Le Regioni gestiscono 2 di quei 6,6 miliardi e alcune di loro (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) hanno già fatto arrivare a Palazzo Chigi il messaggio che, se il piano non si sblocca, cominceranno a spenderli per conto proprio e non necessariamente tutti per la banda ultralarga.
«Il governo ha presentato il piano già a marzo e siamo nello stallo», dice Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. «Se non sblocca i fondi entro settembre, perdiamo l’ultima chance per gareggiare alla pari, sulle infrastrutture, con le altre economie europee», continua. Altro segnale: Telecom Italia ha chiesto che i primi bandi regionali arrivino entro fine anno. Il principale rischio è che si sfaldi tutto il piano nazionale, privato dei 4,6 miliardi nazionali e di parte di quei 2 miliardi regionali. Oppure, se si parte troppo tardi (nel 2016), sarà difficile utilizzare i miliardi entro il 2022 (oltre questa data, l’Europa si riprenderà indietro quanto non speso).
Le cause frenanti sono numerose. Non è facile calibrare i voucher di incentivo agli abbonamenti banda ultra larga e gli investimenti pubblici nelle aree su cui gli operatori hanno già cominciato a investire in banda ultra larga di livello base (pari al 50 per cento della popolazione). Da una parte pesano gli interessi contrastanti degli operatori; dall’altra, bisogna fare i conti con la Ue, che non ha ancora sciolto le riserve sulla legittimità degli investimenti pubblici.
Arduo anche trovare il giusto perimetro per gli incentivi fiscali agli operatori che investono. È invece impopolare allineare ai parametri europei i limiti italiani sull’elettromagnetismo. Renzi proverà a venire a capo della matassa, anche a costo di rinunciare per ora alle misure più complicate (si potrebbe partire subito, per esempio, con bandi di gara nelle zone dove gli operatori non investono). In questo caso, potrà stanziare i 4,6 miliardi di euro con una delibera Cipe. L’obiettivo è riuscirci nei prossimi giorni, prima della pausa estiva.
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