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NEXT GENERATION DRAGHI – PIÙ CHE ALLE SPARATE A SALVE DEI PARTITI SU SUPERBONUS, PENSIONI E SOPRATTUTTO GOVERNANCE, IL PREMIER GUARDA ALL’UE. E INFATTI IERI HA DECISO DI CHIAMARE BRUXELLES PER UNA CONFERENCE CALL CON LA COMMISSIONE EUROPEA, CHE HA RASSICURATO PERSONALMENTE SUL RECOVERY PLAN ITALIANO – I PARTITI SONO IN ANSIA PERCHÉ TEMONO DI NON TOCCARE PALLA, MA DOVRANNO INGOIARE IL ROSPO IN PARLAMENTO. O ACCETTERANNO IL PIANO COSÌ COME VUOLE DRAGHI O SI ASSUMERANNO LA RESPONSABILITÀ DI FAR PERDERE AL PAESE PIÙ DI 200 MILIARDI
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Il problema per Draghi non è il maldipancia dei partiti. Siccome dall’Europa erano giunte obiezioni al suo Piano, ieri ha deciso di sciogliere i nodi chiamando Bruxelles. Così, nelle ore in cui avrebbe dovuto riunire il Consiglio dei ministri, il premier ha preferito organizzare una conference call con la Commissione europea: c’erano alcuni dettagli del Recovery plan su cui discutere.
E dato che nei dettagli si nasconde il diavolo, ha deciso di parlarne prima per evitare spiacevoli malintesi dopo. Lo ha fatto — racconta una fonte autorevole — «con l’approccio di un europeista dialettico», che è un modo per rimarcare il tenore della trattativa.
D’altronde il Pnrr rappresenta per Draghi un punto di svolta, è la sfida che segnerà la sua esperienza a Palazzo Chigi insieme al piano vaccinale. E poco importa se sapeva di dover affrontare una partenza ad handicap, se in corsa è stato costretto a rivedere (quasi) integralmente l’impianto del progetto scritto dal governo precedente: era consapevole fin dall’inizio che non avrebbe potuto usare come alibi l’eredità della passata gestione.
vaccino a ursula von der leyen
Al punto che nelle ultime settimane è parso preoccupato agli occhi di alcuni suoi interlocutori per il problema delle scadenze. Non vuole arrivare in ritardo con il Piano all’appuntamento con l’Europa di fine mese: «È una questione di credibilità».
È un segnale da trasmettere là dove — per dirla con un ministro — «lo scetticismo sulla capacità del nostro Paese di applicare il Pnrr e varare le riforme necessarie, è pari alla considerazione che nutrono verso il premier». Perciò Draghi ha preferito sciogliere i nodi sul Recovery con la Commissione in attesa di affrontarli con i ministri del suo governo. E mentre era al telefono con Bruxelles, a Roma montava il nervosismo dei partiti di maggioranza che facevano trapelare il loro disappunto per essere rimasti all’oscuro sui contenuti finali del Piano.
Nel Pnrr porti, strade, priorità ai giovani e spinta per il Sud: spinta la Pil e al lavoro
presentazione del recovery plan 2
Il vero motivo del malessere collettivo è legato alle norme sulla governance che dovrà accompagnare il percorso del Recovery, dunque dei miliardi da investire. Per le forze politiche la presenza nella cabina di regia è fondamentale: è come entrare in Champions league o rimanerne fuori.
Ecco perché ieri la grande coalizione appariva compatta come mai: dalla Lega al Pd, da M5S a Forza Italia, tutti erano impegnati a premere sul premier, perché — come sottolineava il dem Alfieri — «completasse la governance e affidasse un ruolo centrale al Parlamento».
presentazione del recovery plan
Una formula meno ruvida rispetto a chi, nel suo stesso partito, rammentava «le critiche subite da Conte quando lo accusarono di golpe per voler accentrare tutto». Il problema dei rapporti con il Parlamento però esiste e Draghi — chiamato a superarlo tenendo conto delle scadenze — tenterà di risolverlo la prossima settimana annunciando che terrà «un’interlocuzione costante con le Camere».
Scadenze e iter
Si vedrà poi se risponde al vero l’obiezione posta da chi ha già vissuto l’esperienza di Palazzo Chigi, e ritiene opportuno che il premier si doti di un sottosegretario all’attuazione del Pnrr per accompagnarne l’iter. Il fatto è che il tempo scorre, «e con le Camere da consultare, la Conferenza Stato-Regioni da convocare», i ministri trasmettono la frenesia del momento.
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Che poi è la frenesia dei loro partiti, alle prese con una sfida di potere decisiva e con le scosse di assestamento interno da gestire. Nel Pd, Letta deve muoversi in equilibrio tra chi ha abbracciato «l’agenda Draghi» e i vedovi di Conte che preconizzano un «rapido processo di montizzazione del premier». In Forza Italia, Berlusconi ha da tenere a bada quanti — come Tajani — già segnano la fine della legislatura dopo l’elezione del capo dello Stato, e quanti — come i legati di governo — auspicano lunga vita all’attuale gabinetto.
E poi c’è la Lega, dove Salvini giura di fidarsi di Draghi ma intanto per tutelarsi ha avvisato Giorgetti che affiderà il dossier delle nomine di sottogoverno a Bagnai. Grande è la confusione sotto il premier, che avverte i rischi del bradisismo ma sulla governance tiene tutti sulla corda: «Prima facciamo l’attuazione del Piano», ha avvisato. Nell’esecutivo c’è chi si è comprato i pop corn: «Vedremo chi vincerà...».
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