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Con una nazionale di calcio che ha obiettivamente poche possibilità di vincere i Mondiali di quest'estate in Brasile, e un ministro degli Esteri sconosciuto alle cancellerie internazionali, la politica estera dell'Italia è obiettivamente tutta nelle mani di Matteo Renzi. Ma qualcuno deve avvertirlo che qui slide e comizi con frasi a effetto non bastano. E soprattutto, che bisogna cominciare a giocare la partita seriamente, dopo tre mesi e mezzo a Palazzo Chigi.
Dopo un'agenda europea iniziale, ereditata dal governo di Lettanipote, sbrigata con buona disinvoltura e incoraggiamenti vari da Obama, Merkel e Cameron, Pittibimbo si è calato interamente nelle riforme interne e nella campagna elettorale. Tiene un ritmo infernale e nulla sarebbe più sbagliato di accusarlo di girarsi i pollici.
Ma la politica estera è disgraziatamente ferma e alla Farnesina stanno già rimpiangendo Emma Bonino, che non si fida di nessuno, ma aveva tutto un altro peso politico rispetto alla piddina Mogherini, gran secchiona, ma pur sempre funzionario di partito.
Il problema è che anche gli input che arrivano da Palazzo Chigi a volte sono un po' così. Prendiamo la crisi ucraina, sulla quale l'Italia economicamente rischia grosso viste le sanzioni volute dagli Usa. Pare che la linea dettata da Renzie sia stata secca quanto semplicistica: "Fate quello che fa la Merkel".
Come posizionamento politico da talk show, mettersi in linea con la Germania va benissimo, ma la sostanza dei rapporti con la Russia (visto il nostro interscambio economico con Mosca) meriterebbe qualcosa di più. A ottobre rischiamo di avere qualche problema di approvvigionamento di gas e non è che potremo bussare a Berlino. In ogni caso, la Merkel ha negoziato con Obama il tipo di sanzioni economiche alla Russia che l'economia tedesca può sopportare. E noi? Quel che serve ai tedeschi non necessariamente serve agli italiani.
L'altro grande mercato, e colosso politico, verso il quale tutto l'Occidente guarda è la Cina. La Banca nazionale di Pechino ha appena rilevato il 2% di Eni e di Enel, e molto altro potrebbe investire. A Taranto, i cinesi hanno un progetto ambizioso per il porto, ma sono sul piede di guerra ed entro l'estate potrebbero andarsene, stufi delle lentezze italiane.
Di questo e di altri dossier si sarebbe dovuto parlare tra il 7 e il 9 aprile scorso, nella visita a Pechino del governo italiano. Ma Palazzo Chigi ne chiese lo spostamento perché Renzie era appena arrivato e aveva da fare i compiti con il Def da spedire a Bruxelles. No problem. Il viaggio dal presidente Xi Jinping si terrà il 13 giugno. Un solo giorno? Al momento pare proprio di sì. Ed è questo che dovrebbe far riflettere.
Per fare un esempio, ai primi di dicembre David Cameron spese a Pechino tre giornate intere. E il premier britannico era alla sua seconda visita ufficiale in Cina. E i colleghi Hollande e Merkel non sono mai scesi sotto i due giorni, anche solo per riprendersi un minimo dal viaggio. Se Matteuccio si ferma solo un giorno segnerà un piccolo record.
Non mancano altri fronti dove una politica estera dell'Italia sarebbe apprezzata. La Libia è l'unico vero aiuto che ci ha chiesto Obama nella sua visita a Roma. L'Italia, già con Letta, aveva saggiamente preso le distanze dal debole governo di Tripoli e il paese, visto dagli Usa, è solo una grande palestra di terroristi che si allenano nei vari santuari. L'impegno da quelle parti è assai gravoso, ma anche in fase di stallo, e se la Libia diventasse una mega base di Al Qaeda verrebbe rinfacciato a noi.
Ultimo capitolo, ma non meno importante, è l'ormai nota faccenda degli F-35. Il premier si è impegnato con Obama a non toccare il programma di acquisto dei supercaccia Usa, ma punta almeno a uno slittamento degli esborsi. Giorgio Napolitano vigila sul mantenimento degli impegni internazionali e intanto, in Parlamento, il Pd fa asse con Grillomao per dimezzare gli acquisti. Potrebbe finire nel peggiore dei modi, ovvero con Renzi che trova il modo di rifilare il dossier al prossimo governo.
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