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P.E.R. per "Libero"
Questa volta non sono state sufficienti la parlantina da politico navigato, la tecnica di sbuffare quando interviene l'interlocutore, l'aggressività , l'esperienza della deputata prossima alla sesta legislatura. Laddove non sono riusciti la fine della Prima Repubblica (è stata eurodeputato della Democrazia cristiana), il crollo dei governi dell'Ulivo, la crociata di Matteo Renzi («à in Parlamento da prima della caduta del Muro di Berlino, rottamiamola»), ha potuto il caso Mps: Rosy Bindi è all'angolo.
La presidente del Pd, parlamentare da un trentennio, due volte ministro, non riesce ad uscire dalle sabbie mobili della banca rossa, e ad ogni comparsata tv regala qualche gaffe o svarione. Mercoledì sera, ospite di Porta a Porta, è finita definitivamente al tappeto. Già alla presentazione - di rito - di Bruno Vespa, la parlamentare ha avuto qualcosa da ridire.
«Sì, sono originaria di Siena, ma io sono nata fuori le mura», ha puntualizzato. Come se essere senese fosse in sè una colpa. Pensare che nella città toscana la deputata ha costruito la sua carriera tra le file della Democrazia cristiana, ha il centro del suo potere politico.
Sebbene abbia sempre preferito candidarsi in Veneto e, casi del destino, ora sia in lista per le Politiche in Calabria. In studio con la presidente del Pd c'erano il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, l'ex ministro pidiellino Mara Carfagna, Andrea Romano della Lista Monti. Bindi ha provato a sminuire il caso Mps, bollandolo come «polemica elettorale». Dimenticando, però, le dimissioni del presidente Abi, l'allarme lanciato dall'istituto, le inchieste (spalmate tra diverse Procure) della magistratura.
«I rapporti tra il Pd ed Mps sono stretti e noti anche ai bambini», ha cominciato Carfagna. Belpietro ha ricordato i ricchi contributi - quasi due milioni di euro - dei dirigenti Mps al Pd, serviti a finanziare l'attività del partito e le campagna elettorali. Bindi, tra uno sbuffo e l'altro, si è indispettita: «à liberalità , erano contributi volontari, cosa c'entrano?».
E, non avendo evidentemente molti argomenti, ha accusato i giornali di scrivere bugie. Niente liberalità , niente contributi volontari: «Lo prevede lo Statuto del partito, articolo 28, che fissa anche una quota», ha ricordato il direttore di Libero. Bindi ha negato, sostenuto che quel contributo economico è obbligatorio solo per le cariche elettive, «non funziona per i presidenti di banca».
Ma ha dimenticato che, per una legge scritta proprio da un governo del quale lei stessa faceva parte, anche la dirigenza Mps è di fatto una carica elettiva del Pd, che interviene attraverso le amministrazioni locali. A quel punto la presidente Pd ha ammesso di non conoscere l'articolo citato dello Statuto, mettendo addirittura in dubbio la sua esistenza.
Così facendo si è trovata in grossa difficoltà quando, dopo qualche minuto e una semplice ricerca, Belpietro ha potuto sventolare davanti alle telecamere e a centinaia di migliaia di spettatori il suo testo. Bindi, non sapendo più cosa inventarsi, ha provato a tirare in mezzo il «falso in bilancio», la modifica al codice penale promossa dal governo di Silvio Berlusconi. Sbagliato, come le è stato fatto notare. Le modifiche all'ordinamento non valgono per le società quotate.
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