“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Luigi Grassia per “la Stampa”
il presidente iraniano rohani si gode l iran ai mondiali
Otto miliardi di euro all’anno. Questo era l’export italiano in Iran prima delle sanzioni. Se tornassero i tempi d’oro (per ora è solo una speranza, bisogna vedere con che tempi i divieti verranno abrogati) sarebbe un bel contributo alla nostra ripresa economica. Ma che cosa esportavamo in Iran? Non tanto prodotti industriali quanto servizi e infrastrutture.
Innanzitutto nel settore del petrolio.
L’Eni aveva una presenza storica nel Paese, che oggi è quasi azzerata: il gruppo si limita al recupero di investimenti relativi a vecchi progetti. Teheran paga in barili di greggio, nel rispetto delle sanzioni internazionali. Non ci sono nuovi investimenti. Torneranno a esserci? Gli analisti del settore frenano: l’Iran accetta di firmare contratti di ricerca e di sviluppo dei giacimenti solo con la formula che i tecnici definiscono “buy back” e che le compagnie internazionali considerano poco conveniente, rigida e rischiosa.
Servirà qualche cambiamento. Più facilmente potrebbe essere la controllata Saipem a trovare lavoro in Iran. Le infrastrutture energetiche locali sono invecchiate e hanno bisogno di nuova tecnologia. La Saipem ha già lavorato a molti vecchi progetti e potrebbe rimetterci le mani; per esempio completare la super-raffineria di Bandar Abbas, la cui costruzione si è interrotta nel 2007.
Al porto della stessa Bandar Abbas aveva lavorato l’italiana Trevi, specializzata in grandi fondazioni. Il gruppo al momento non ha mire specifiche sull’Iran ma visto che lavora tutt’attorno, cioè in Kuwait, Arabia saudita, Qatar e Emirati, se Teheran torna nella comunità economica internazionale anche l’Iran rientrerà (verosimilmente) fra i suoi clienti. La stessa geografia di lavori attuali nel Golfo Persico e di prospettive in Iran riguarda il gigante italiano delle costruzioni Salini Impregilo.
Anche Finmeccanica era molto presente nell’Iran pre-sanzioni; la controllata Ansaldo Energia ci aveva costruito diverse centrali elettriche. Per l’azienda sarebbe economicamente interessante anche solo fare lavori di manutenzione e di aggiornamento tecnologico sulle turbine a gas di cui ha disseminato il Paese. Fra i gruppi industriali, la Fiat nel 2005 aveva firmato un accordo per costruire un impianto per produrre 100 mila auto all’anno; tutto bloccato nel 2012, chissà se il discorso potrà riprendere.
Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria, segnala che «in questi anni abbiamo giocato d’anticipo per mantenere aperte le porte, invitando spesso rappresentanti iraniani a fiere e manifestazioni».
Otto miliardi di euro all’anno. Questo era l’export italiano in Iran prima delle sanzioni. Se tornassero i tempi d’oro (per ora è solo una speranza, bisogna vedere con che tempi i divieti verranno abrogati) sarebbe un bel contributo alla nostra ripresa economica. Ma che cosa esportavamo in Iran? Non tanto prodotti industriali quanto servizi e infrastrutture.
Innanzitutto nel settore del petrolio.
L’Eni aveva una presenza storica nel Paese, che oggi è quasi azzerata: il gruppo si limita al recupero di investimenti relativi a vecchi progetti. Teheran paga in barili di greggio, nel rispetto delle sanzioni internazionali. Non ci sono nuovi investimenti. Torneranno a esserci? Gli analisti del settore frenano: l’Iran accetta di firmare contratti di ricerca e di sviluppo dei giacimenti solo con la formula che i tecnici definiscono “buy back” e che le compagnie internazionali considerano poco conveniente, rigida e rischiosa.
Servirà qualche cambiamento. Più facilmente potrebbe essere la controllata Saipem a trovare lavoro in Iran. Le infrastrutture energetiche locali sono invecchiate e hanno bisogno di nuova tecnologia. La Saipem ha già lavorato a molti vecchi progetti e potrebbe rimetterci le mani; per esempio completare la super-raffineria di Bandar Abbas, la cui costruzione si è interrotta nel 2007.
Al porto della stessa Bandar Abbas aveva lavorato l’italiana Trevi, specializzata in grandi fondazioni. Il gruppo al momento non ha mire specifiche sull’Iran ma visto che lavora tutt’attorno, cioè in Kuwait, Arabia saudita, Qatar e Emirati, se Teheran torna nella comunità economica internazionale anche l’Iran rientrerà (verosimilmente) fra i suoi clienti. La stessa geografia di lavori attuali nel Golfo Persico e di prospettive in Iran riguarda il gigante italiano delle costruzioni Salini Impregilo.
Anche Finmeccanica era molto presente nell’Iran pre-sanzioni; la controllata Ansaldo Energia ci aveva costruito diverse centrali elettriche. Per l’azienda sarebbe economicamente interessante anche solo fare lavori di manutenzione e di aggiornamento tecnologico sulle turbine a gas di cui ha disseminato il Paese.
GIORGIO SQUINZI ALL ASSEMBLEA DI CONFINDUSTRIA
Fra i gruppi industriali, la Fiat nel 2005 aveva firmato un accordo per costruire un impianto per produrre 100 mila auto all’anno; tutto bloccato nel 2012, chissà se il discorso potrà riprendere. Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria, segnala che «in questi anni abbiamo giocato d’anticipo per mantenere aperte le porte, invitando spesso rappresentanti iraniani a fiere e manifestazioni».
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