1- LA PROCURA DI NAPOLI SPEDISCE IN GALERA TARANTINI & MOGLIE. MA CHI DEVE TREMARE NON è GIANPY MA IL PRESUNTO RICATTATO DA 500MILA, SILVIO BANANONI 2- CON L'ARRESTO DELL'IMPRENDITORE CHE PORTAVA "CARNE FRESCA" (PATTY D'ADDARIO E COMPANY) A PALAZZO GRAZIOLI, VERRANNO ALLA RIBALTA MEDIATICA LE BOMBASTICHE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE TRA BERLUSCONI E TARANTINI (AGGIUNGERE IL COMPAGNO DI MERENDE LAVITOLA) CHE LA PROCURA DI BARI VOLEVA BRUCIARE 3- E FINALMENTE SAPREMO PERCHé E PERCOME IL CAINANO SI SENTI OBBLIGATO A SBORSARE MEZZO MILIONE DI EURO PIù UN COMPENSO MENSILE A TARANTINI 4- SPICCATO UN MANDATO DI ARRESTO ANCHE PER LAVITOLA CHE, GUARDA CASO, È IRREPERIBILE (LA SCORSA SETTIMANA ERA IN BULGARIA A FARE L'IMPRENDITORE DI PESCE)

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Repubblica.it

La Digos della questura di Napoli e quella di Roma hanno arrestato l'imprenditore pugliese Giampaolo Tarantini, 36 anni, e la moglie Angela Vevenuto 34 anni, nell'ambito dell'indagine sull'estorsione da 500 mila euro al premier Silvio Berlusconi. La coppia è stata arrestata a Roma ed è in viaggio verso Napoli per essere rinchiusa nelle carceri di Poggioreale e Pozzuoli.

Il gip Amelia Primavera ha accolto quindi la richiesta di custodia cautelare avanzata dai pm Henry John Woodcock 1, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli nell'ambito dell'inchiesta sul giro di escort svelato da Patrizia D'Addario alla Procura di Bari che vede indagato anche l'editore e direttore de L'Avanti!, Valter Lavitola. Un mandato di arresto era stato emesso anche nei suoi confronti, ma l'editore si è reso irreperibile. Gli indagati sono in tutto cinque.

Secondo le tesi degli inquirenti, come anticipato il 25 agosto scorso dal settimanale Panorama, Tarantini avrebbe ricevuto un compenso per mentire circa la consapevolezza del premier che l'imprenditore avesse portato a Palazzo Grazioli escort. Tarantini, a sua volta, sarebbe vittima di un raggiro di Lavitola, che dei 500 mila euro avrebbe trattenuto 400 mila euro per impiegarli in operazioni finanziarie in tutta Italia. Nella versione di Panorama, l'indagine dei pm Curcio, Woodcock sarebbe stata imperniata su intercettazioni telefoniche 4 molto recenti che riguarderebbero conversazioni di Lavitola con Tarantini o con la moglie dell'imprenditore.

Nella ricostruzione di Panorama, Tarantini avrebbe ricevuto il denaro per dichiarare al processo istruito a Bari che il premier non sapeva di ospitare escort retribuite dall'imprenditore. "Pagato per mentire? No, perché al telefono Tarantini ribadisce più volte che quella è la verità", sosteneva il settimanale. I 500 mila euro, si leggeva ancora nel resoconto, dovevano servire "soprattutto" a convincere l'imprenditore pugliese a scegliere il patteggiamento per evitare un processo pubblico e la conseguente pubblicazione di "intercettazioni telefoniche ritenute imbarazzanti" che avrebbe danneggiato il premier.

Nel settimanale di Berlusconi c'era anche una dichiarazione del premier: "Ho aiutato una persona (Tarantini ndr) e una famiglia con bambini che si è trovata e si trova in gravissime difficoltà economiche. Non ho fatto nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato non chiedendo nulla in cambio. Sono fatto così e nulla muterà il mio modo di essere".

L'avvocato Nicola Quaranta, legale di Tarantini con l'avvocato Giorgio Perroni, contattato da Repubblica spiegò allora che l'imprenditore non aveva presentato alcuna richiesta di patteggiamento nel filone escort: "È nostro interesse leggere e conoscere tutti gli atti. Attendiamo l'avviso di conclusione delle indagini per guardare le carte e fare le nostre valutazioni".

 

Pozzuoli.Giacomo Amadori per Panorama

Sotto il Vesuvio, nei prossimi giorni, è attesa un'eruzione giudiziaria. Che potrebbe estendere i suoi gas venefici fino a Roma, fino alla presidenza del Consiglio. Si tratta di un'inchiesta riservatissima della procura di Napoli e, a quanto risulta a Panorama, ormai in fase conclusiva, su una presunta estorsione ai danni di Silvio Berlusconi.

La banda dei presunti ricattatori, così come ricostruita dai magistrati partenopei, sarebbe composta da diverse persone, compresi due signori assai noti alle cronache: Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore che nel 2008 portò Patrizia D'Addario a Palazzo Grazioli (vedere il riquadro qui a destra), e Valter Lavitola, direttore del giornale online Avanti! e già protagonista dell'affaire Fini-Tulliani-Monte-Carlo (vedere l'altro riquadro a lato).

È una storia che potrebbe esplodere prima della fine dell'estate e sollevare un nuovo polverone mediatico. Infatti, anche se nel capoluogo campano, in questo agosto asfissiante, tutto sembra immobile, in realtà in alcune stanze del tribunale si lavora. La cittadella giudiziaria è il cuore di una metropoli laboratorio, la futura capitale perfetta della Repubblica dei giudici, conquistata alle ultime elezioni comunali dall'ex pm Luigi De Magistris.

Tre suoi vecchi colleghi, Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli, hanno deciso di fare pulizia a modo loro, lontano dalla Napoli assediata dai rifiuti, spingendosi nei palazzi del potere romano: hanno ottenuto l'arresto del deputato pdl Alfonso Papa; hanno chiesto le manette per un altro parlamentare, quel Marco Milanese intimo del potente e (in questi giorni) contestato ministro dell'Economia Giulio Tremonti; hanno ronzato intorno al sottosegretario Gianni Letta, colpendo e affondando l'imprenditore romano Luigi Bisignani, che si faceva vanto di avere un rapporto privilegiato con il braccio destro di Silvio Berlusconi.

Sino a oggi il Cavaliere era rimasto solo sullo sfondo. Sino a oggi, appunto. Infatti nella Napoli dei giudici, che assomiglia alla Parigi di Robespierre o alla Firenze di Savonarola, il palazzo di giustizia non riposa.

Tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto i tre moschettieri Curcio-Piscitelli-Woodcock hanno dato una forte accelerazione a un'inchiesta destinata a deflagrare nel Palazzo e a dividere l'opinione pubblica come sempre accade nelle indagini in cui ci sono pochissimi fatti e moltissime interpretazioni possibili.

Interpretazioni che probabilmente sarebbero state ridotte al lumicino se al clamore si fosse preferito il rigore nella caccia ai riscontri piuttosto che riversare al giudice (e quindi ai giornali) la solita ubriacatura da chiacchiere al telefono.

Ma andiamo con ordine.
L'indagine è uno stralcio di un fascicolo del 2009 sulle nomine nella Finmeccanica (Lavitola risulterebbe collegato ad alcune società del gruppo) e gli accertamenti arrivano ai giorni nostri. Il gip Amelia Primavera, la stessa che ha chiesto alla Camera dei deputati di autorizzare l'arresto di Milanese, ha stravolto il calendario delle ferie per leggere con attenzione le richieste dei colleghi della procura, sulle quali però c'è un riserbo assoluto.

Si sa solo che si tratta di molte pagine, dove l'investigazione tradizionale lascia spazio alle solite, interminabili intercettazioni telefoniche. In almeno una l'interlocutore è Berlusconi. Che anche questa volta, c'è da scommetterci, si troverà sulle prime pagine dei giornali pur non avendo commesso reato alcuno.

Anzi sono gli stessi pm a escludere qualsiasi responsabilità penale al punto che il Cavaliere è espressamente riconosciuto dagli inquirenti come «persona offesa»: è una vittima, cioè, che avrebbe in questo caso subito un'estorsione (peraltro tutta da verificare e smentita dall'interessato).

Ma in questa prima fase dell'inchiesta, ovvero negli atti portati all'attenzione del giudice per le indagini preliminari dai sostituti procuratori, se da una parte non viene contestato alcun reato al premier dall'altra lo si consegna all'ennesimo plotone di esecuzione mediatico, agli assalti di chi (nonostante la crisi e i ripetuti richiami della presidenza della Repubblica alla responsabilità) è in cerca di qualsiasi occasione per indebolire ulteriormente la leadership politica dell'Italia.

Proviamo a capire allora, con le informazioni di cui Panorama è entrato faticosamente in possesso, che cosa bolle dentro il vulcano giudiziario partenopeo.
Per i pm napoletani, Berlusconi avrebbe versato 500 mila euro, una specie di una tantum, all'imprenditore barese Tarantini. Oltre al mezzo milione di euro, a Tarantini sarebbero arrivati circa 20 mila euro mensili per spese varie (compreso l'affitto dell'appartamento romano, a due passi da via Veneto).

A questo proposito nelle intercettazioni, secondo l'accusa, Lavitola farebbe spesso riferimento con collaboratori di Berlusconi a «foto da stampare» per celare in realtà somme di denaro: ogni «foto» corrisponderebbe a 10 mila euro.

A parere degli inquirenti, Tarantini riceverebbe il cospicuo compenso per continuare a dichiarare, nel processo barese in cui è indagato, che Berlusconi non sapeva di ospitare alle sue feste escort prezzolate dallo stesso imprenditore pugliese. Pagato per mentire, dunque? No, visto che al telefono Tarantini ribadisce più volte che quella è la verità.

Il problema centrale appare un altro. Secondo l'accusa, il mezzo milione dovrebbe persuadere Tarantini a scegliere la strada del patteggiamento in un procedimento in cui sarebbe l'unico imputato, evitando così, come spiegano gli esperti di diritto, un processo pubblico con la conseguente diffusione di intercettazioni telefoniche ritenute imbarazzanti per il premier.

Chi conosce bene Berlusconi sa che è molto generoso con le persone che hanno patito guai a «causa» sua, magari per il semplice fatto di essergli amici. Gli esempi, recenti e meno recenti, non mancano. E anche i versamenti destinati all'imprenditore pugliese si potrebbero giustificare in quest'ottica.

Sentito da Panorama per avere un commento sulla vicenda, Berlusconi si dice «assolutamente sereno», allontana qualsiasi sospetto di essere vittima di un'estorsione e afferma: «Attraverso Lavitola ho aiutato una persona (cioè Tarantini, ndr) e una famiglia con bambini che si è trovata e si trova in gravissime difficoltà economiche. Non ho nulla di cui pentirmi, anzi. Non ho fatto nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato non chiedendo nulla in cambio. Sono fatto così e nulla muterà il mio modo di essere».

Gli inquirenti, però, ritengono che non si sia trattato di una donazione spontanea: prova ne sarebbero le telefonate intercettate fra Tarantini e Lavitola, ritenuto uno dei consiglieri di Palazzo Chigi per il Sud America, dove il giornalista-editore ha diversi interessi commerciali. E di quei paesi utilizza le schede telefoniche (panamensi e argentine) per le sue comunicazioni personali, garantendo a chiunque di non essere intercettabile. Per sua sfortuna, invece, i poliziotti sono riusciti a metterlo sotto controllo senza problemi.

E dalle sue parole in libertà è fiorita l'inchiesta.
È lui, secondo gli investigatori, la vera mente di tutto quello che potrebbe rivelarsi un colossale raggiro ai danni di Berlusconi e perfino di Tarantini. Una sorta di avventuriero, a dare retta ai pm napoletani, che cerca di accreditarsi in molti modi presso la presidenza del Consiglio. Magari con la scusa di «gestire» Tarantini (depresso e stressato per le sue vicende giudiziarie).

Lavitola insomma sarebbe la Volpe, e Tarantini il Gatto. In questo quadro, il primo si finge amico e benefattore allo scopo di scroccare denaro al Cavaliere per fare un'«opera buona» in favore del secondo. Ma perché il piano funzioni è necessario che Berlusconi e Tarantini non s'incontrino mai. L'altro ingrediente indispensabile è comunicare col capo del governo: per riuscirci, Lavitola tampina la segretaria del premier, Marinella Brambilla, che in un'occasione lo maltratta per l'insistenza nonostante l'aplomb che la contraddistingue.

Tanta caparbietà viene però premiata e, una sera, Lavitola riesce a farsi richiamare. È il 13 luglio 2011. Anche il premier, secondo i magistrati, utilizza una scheda telefonica argentina che sarebbe stata consegnata a un suo collaboratore da un factotum di Lavitola. Sono passate le 23 e il presidente del Consiglio sembra non avere voglia di parlare a lungo, ma Lavitola lo assedia con le sue paranoie.

Vuole entrare in discorsi scivolosi, commenta le inchieste di Napoli e dell'affaire Bisignani, ne offre una chiave di lettura preoccupante per il premier, anche se si tratta di fatti che non lo riguardano. Per lui i verbali e gli atti di quei procedimenti smascherano i falsi amici di Berlusconi, gettano ombre su Gianni Letta, svelano complotti e prefigurano scenari cupi, di fronte ai quali il direttore dell'Avanti! si propone come unico amico affidabile.

Il presidente del Consiglio non ci casca: resta tranquillissimo, giura di essere distante mille chilometri dalle questioni di cui si stanno occupando i magistrati di Napoli, spiega di avere incontrato Bisignani una volta in vita sua e che su Letta metterebbe la mano sul fuoco. In pratica, ribadisce quello che ha già detto in diverse conferenze stampa. È amareggiato per il risarcimento riconosciuto a Carlo De Benedetti per il lodo Mondadori, che giudica un'ingiustizia terribile, una «rapina» che ha mandato in fumo 25 anni di lavoro.

Dal suo tono emerge chiaramente che ne ha le tasche piene di interlocutori come Lavitola. In più occasioni prova a tagliare la conversazione, ma l'altro lo marca, insiste.
Berlusconi sbotta, dice che i giudici possono fare quello che vogliono (e quindi anche ascoltarlo e spiarlo), ma che sarà impossibile trovare qualcosa di non pulito sul suo conto. Poi si lascia andare a uno sfogo, simile a quelli descritti nei mesi scorsi dai cronisti parlamentari specializzati in «retroscena», su un sistema che lo ha nauseato, al punto di pensare di mollare tutto e lasciare l'Italia.

Il premier non immagina lontanamente di essere intercettato, che le sue parole possano finire agli atti. Col risultato che i discorsi privati del presidente del Consiglio, non indagato e per giunta qualificato come «persona offesa», rischiano di essere dati in pasto un'altra volta all'opinione pubblica senza filtri e senza autorizzazione del Parlamento. In piazza, nei giorni della grande recessione alle porte e del panico sui mercati, rischia di finire l'immagine di un presidente braccato dai cecchini giudiziari e circondato da persone che provano solo a spillargli denaro.

Il leader della brigata, come detto, è Lavitola che si offre a Tarantini (e a sua moglie Angela Devenuto, detta Nicla) quale mediatore per gestire il rapporto col Cavaliere. La Volpe, secondo l'accusa, trasforma i coniugi nelle sue galline dalle uova d'oro: avrebbe infatti intascato per sé quattro quinti della cifra (cioè 400 su 500 mila euro) versata da Berlusconi.

I coniugi Tarantini e Lavitola parlano al telefono senza freni di soldi, ricatti e bugie. Per Lavitola bisogna mettere il capo del governo con le spalle al muro. Il loro unico obiettivo è batter cassa: Tarantini e consorte anche per il fatto che la loro vita, dopo l'inizio dell'inchiesta barese per favoreggiamento della prostituzione, s'è fatta grama.

E c'è da credergli, visto che, fa sapere il marito, mezzo milione non gli basta per campare nemmeno un anno. Lavitola invece ha bisogno di cash per continuare a coltivare i suoi business, da Pomezia a Brescia a Teano e magari tuffarsi, dopo il referendum dello scorso giugno, nel settore dell'acqua pubblica in Lazio. Il tutto con i soldi che dovrebbero essere destinati a Tarantini.

In luglio, stando alle intercettazioni, il Gatto scopre l'inganno del socio e glielo comunica. Lavitola lo infilza in contropiede: la colpa è di Tarantini che consuma come una Ferrari. Il giornalista-editore rinfaccia all'imprenditore le frequenti cene in ristoranti di lusso e la vita agiata. Se non gli ha detto di quei soldi è solo per non farglieli scialacquare. Tarantini si sente in colpa. Lavitola lo tranquillizza: ha messo al sicuro il tesoretto in Uruguay, servirà per iniziare un'attività all'estero.

Il Gatto quasi ringrazia e domanda come potrà recuperare il denaro nel malaugurato caso dovesse morire la Volpe. Lavitola, fatti i debiti scongiuri, gli promette che gli darà un numero di telefono e un codice per recuperare il gruzzolo. Ovviamente è una bugia. Tarantini gli crede (oppure si sforza di farlo), sebbene rimproveri l'astuto complice di sottovalutarlo: lui ha frequentato la barca di Massimo D'Alema all'età di 20 anni e la casa di Berlusconi a 30, mica è un fesso. È così ingenuo che quasi intenerisce.

Soldi a parte, la vera passione di Lavitola, che fa la spola tra Santo Domingo e il Sud America da quando ritiene di poter essere arrestato per lo scandalo della cosiddetta P4, sono le inchieste giudiziarie: si vanta di poter avere informazioni in tempo reale dalle cancellerie dei tribunali e, in effetti, sembra essere a conoscenza delle indagini sul proprio conto. Tanto da mettere in guardia i sodali. La parola d'ordine è non farsi trovare in tasca gli euro di Berlusconi in caso di perquisizioni. Tarantini assicura di avere in casa solo 800 euro.

Nelle intercettazioni fioccano notizie non solo dal tribunale di Napoli, ma anche da quello di Bari, teatro di una querelle tra il procuratore Antonio Laudati e l'ex sostituto procuratore Giuseppe Scelsi, quello dell'affaire D'Addario.
Negli atti i magistrati appaiono incuriositi anche dal gossip, dal chiacchiericcio senza prove che riguarda amanti e «amiche».

Lavitola al cellulare cerca di far colpo persino sulla moglie di Tarantini, Nicla. Decanta la sua vita picaresca, in fuga dalle procure, e mostra il suo lato più virile: con lui il carcere preventivo è inutile, tanto non parlerebbe mai. Eppure più che lo Steve McQueen di Papillon sembra il Franco Franchi della parodia Farfallon.

Gli investigatori trascrivono tutte le sparate di Lavitola, appuntano i suoi contatti, i suoi presunti affari. Come i rapporti con un dirigente di Finmeccanica o con il consigliere militare di Palazzo Chigi o ancora i tentativi di entrare nel mercato albanese attraverso il presidente Sali Berisha (con cui cerca di mettersi in contatto attraverso canali governativi). L'uomo assicura che nei suoi confronti anche il Corriere della sera mostra un occhio di riguardo.

Chi ha letto le carte alla fine ha chiara la personalità di Lavitola, un po' meno le prove che danno la certezza ai magistrati che in questa storia ci sia un'estorsione ai danni di Berlusconi, che sarebbe stata per giunta attuata con la complicità degli avvocati delle parti. Su questo fronte, anzi, c'è molto più di qualche interrogativo.

Mancherebbe, a quanto pare, qualsiasi accertamento bancario, non ci sarebbe l'ombra di un riscontro esterno alle chiacchiere telefoniche: i pm sarebbero arrivati alle loro conclusioni oggi sottoposte al giudice per le indagini preliminari solo mettendo insieme e incrociando le trascrizioni delle intercettazioni senza avvertire l'obbligo di trovare traccia dei flussi di denaro o ascoltare qualcuno dei protagonisti.

Un metodo non nuovo di certo e che, quasi sempre, si è rivelato devastante dal punto di vista mediatico per chi finisce nelle indagini, ma scarsamente incisivo al vaglio dei giudici. Un esempio: l'importo dell'una tantum destinata a Tarantini sarebbe desunto unicamente dai «conti della serva» fatti al telefono da Lavitola con un suo collaboratore e dal collage delle chiamate ascoltate.

Addirittura, i pm avrebbero identificato Berlusconi come colui che ha pagato 500 mila euro a Lavitola facendo perno su un'intercettazione in cui il direttore dell'Avanti! parla di «quello là» come la persona (che non viene citata) dal quale ha ritirato il mezzo milione di euro, parte del quale sarebbe stato girato a «quelli là», che sarebbero i coniugi Tarantini.

Gli inquirenti, per loro stessa ammissione, non sanno in che forma siano stati effettuati i pagamenti, né hanno individuato con certezza il luogo o il momento del delitto. O forse non li hanno cercati per non perdere la competenza territoriale (che potrebbe ricadere su Roma). Sarà anche per questo deserto probatorio che il gip Amelia Primavera sta meditando da qualche settimana sulle richieste dei pubblici ministeri.

 

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