
LA MOSSA DEI DAZI DI TRUMP: UN BOOMERANG CHE L’HA SBATTUTO CON IL CULONE PER TERRA – DIETRO LA LEVA…
Ottavia Giustetti e Sarah Martinenghi per "la Repubblica"
Ha tentato fino all'ultimo di defilarsi dall'accusa di peculato per aver contribuito anche lui alle spese pazze della Regione Piemonte il governatore leghista Roberto Cota. Poi, ieri sera, di fronte all'evidenza, si è confessato agli elettori: «Sgombriamo il campo da ogni possibile equivoco - ha scritto Cota in una lettera ai piemontesi - mi contestano spese per complessivi 25mila euro, in un periodo di quasi 3 anni, circa 800 euro al mese, ma sono un presidente leale che si dedica anima e cuore al governo della Regione».
Dal ristorante al fast food alle tre del mattino, ai giochi per bambini, a fiori, fino a penne e cravatte. Cota rimette il giudizio sulla sua condotta nelle mani dei cittadini. E tenta ancora una volta di giocare d'anticipo, prima cioè che diventino di dominio pubblico i verbali dei suoi due interrogatori in Procura a Torino quando sarà evidente a tutti che non solo ha speso in modo illegittimo denaro pubblico per acquisti personali ma che ha anche mentito davanti ai magistrati sperando di non essere scoperto.
Come quando gli chiedevano conto di scontrini battuti in autogrill e lui, sicuro, rispondeva: «Non posso essere stato io, non mi trovavo in quel posto quel giorno». Ma gli investigatori della Guardia di Finanza non si sono accontentati di vaghe scuse e hanno controllato utilizzando gli stessi strumenti d'indagine che smascherano i delinquenti abituali. I tabulati telefonici.
Negli atti dell'inchiesta torinese - che ha coinvolto 43 politici regionali, travolgendo tutta la Lega e quasi tutto il Pdl, risparmiando i politici del Pd a eccezione di Mercedes Bresso - c'è un cd dedicato solo alle telefonate dei consiglieri: chiamate, numeri e tempi, ma anche precise localizzazioni sulla base delle celle agganciate dai cellulari dei politici. Roberto Cota per la Procura ha mentito. Il suo telefono suonava proprio nell'area di servizio in cui qualcuno quel giorno comprava prodotti alimentari.
«Giusto per esser ancora più chiaro e diretto: non ho mai fatto cene e festini in maschera, come è avvenuto altrove - spiega Cota - Mi contestano di aver pagato un caffè o uno spuntino a persone che si occupano sette giorni su sette della mia sicurezza, purtroppo messa a repentaglio dalla mia azione di governo».
Ammesso che non sia uno scivolone ancor più imbarazzante confessare di aver chiesto indietro alla collettività persino i pochi centesimi di qualche caffè. Una contraddizione con i risparmi e i tagli alle spese della politica degli ultimi mesi che sbandiera in propria difesa: «Mi sono autoridotto lo stipendio e il risparmio l'ho destinato al fondo per i cassintegrati».
Le cifre che i sostituti procuratori Enrica Gabetta, Giancarlo Avenati Bassi, e l'aggiunto Andrea Beconi, contestano al presidente della Regione Piemonte non sono certo paragonabili al caso Fiorito. Ma il profilarsi all'orizzonte di un possibile processo per lui e per tutta la sua maggioranza, pesa come un macigno sulla tenuta del governo regionale.
Secondo indiscrezioni, saputo dell'avviso di chiusura indagini, sarebbe stato tentato dall'idea di dimettersi. Lui ora rassicura: «Vado avanti a testa alta», in quanto «persona onesta, dedita al lavoro, che non esclude la possibilità dell'errore, ma che è sempre stato rispettoso delle leggi ». Non secondo la procura.
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