DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica”
(…) Il travaglio maggiore, come detto, si annida nel partito di Berlusconi. Il 23 febbraio, con i vertici azzurri attovagliati a Villa San Martino, il Cav si era detto «contento » del rapporto con Draghi. «Ci sentiamo spesso, il governo va sostenuto, anche perché c'è il Pnrr, fondamentale». Due settimane dopo le truppe di FI sono invischiate nella trincea-catasto, marchiato ieri come «schiforma ». In commissione Finanze alla Camera hanno già votato due volte contro la linea di Palazzo Chigi.
La «contentezza» del Cav, e soprattutto il rapporto saldo col premier rimarcato nel convivio di Arcore, ne escono ammaccati. Tanto che i malumori dentro il partito, da qualche giorno, sono più di un rumore di fondo. E chiunque provi a raccontarli, in aperto contrasto con la linea giudicata troppo «filo-leghista» del tandem Antonio Tajani-Licia Ronzulli, finisce sempre per sintetizzarla così: «Non era quella la linea di Berlusconi, non voleva strappi».
Due settimane fa, al tavolo dell'ex premier, c'erano il coordinatore Tajani, i capigruppo Annamaria Bernini e Paolo Barelli, i ministri azzurri Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Nel menu, tutti i passaggi parlamentari più scivolosi: dall'applicazione della Bolkestein per il comparto balneare alla riforma della giustizia, alla legge delega sul fisco, che comprende l'ormai famoso articolo 6 sugli estimi catastali. La consegna di Berlusconi era chiara: sostegno al governo, lealtà, con margini di «miglioramento». Senza interventi a gamba tesa.
Una linea più «di compromesso», per dirla con Gelmini, più affine alla posizione di Luigi Marattin, il presidente renziano della commissione Finanze, rispetto a quello che è poi andato in scena quando si è iniziato a discutere il testo: cioè l'asse con Lega e FdI, il muro contro il governo.
«Se avessimo rispettato il dettato di Arcore, non sarebbe andatta così», sono convinti gli esponenti vicini all'ala governista. Paolo Barelli, il capogruppo alla Camera, è sicuro invece che la via della mediazione sia stata tentata. «Ma c'è stata un'impuntatura del governo, è evidente. Draghi dice che non aumenteranno le tasse? Fino al 2026 sicuro, poi non sarà così».
«Qualche divisione nel partito in effetti c'è - concede Alessandro Cattaneo, deputato e membro dell'ufficio di presidenza di Forza Italia - Ma la maggior parte dei parlamentari la pensa allo stesso modo. E aggiungo una cosa: quando il testo arriverà in aula, se si pensa di continuare con lo schema 22 a 23, la riforma non passa, va trovato un accordo prima». Anche dentro FI.
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