RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Estratto di “Ribelli d’Europa”, di Alberto Simoni (Paesi edizioni), pubblicato da “La Stampa”
Questo libro è nato il giorno in cui ho deciso che avrei intervistato Viktor Orbán. Ho cominciato a studiare il personaggio, a immergermi nella storia dell'Ungheria, a sfogliare riviste, a consultare libri, a contattare esperti, reduci del 1989, vecchi amici e nuovi avversari, politici, diplomatici, analisti; sono andato tante volte a Budapest dove in realtà ho finito per essere più attratto dal gulasch di un ristorante sulla collina di Buda che dalla ricerca. Ma tant' è. Anche lo stinco polacco ha avuto quasi la stessa forza attrattiva nelle varie tappe in quella bellissima terra.
ALBERTO SIMONI - RIBELLI D'EUROPA
Volevo capire se l'idea di Europa del premier magiaro, un radicale anti-comunista negli anni Novanta diventato poi un picconatore dei valori della liberal-democrazia, fosse espressione di un pensiero diffuso nel Paese, o più semplicemente un escamotage per far credere a una nazione di poco meno di dieci milioni di anime di poter tener testa ai grandi dell'Unione europea.
Quasi un anno dopo la nascita di questa folle idea, stringevo la mano a Viktor Orbán nella Biblioteca dei Carmelitani nel palazzo del governo a Budapest. Chiacchierammo quasi quattro ore, lui bevve solo tè. La prima mezz' ora la spendemmo a disquisire di calcio fra gli sguardi esterrefatti dei suoi consiglieri. Ricordammo una finale di Coppa Uefa del 1985 in cui una squadra ungherese, il Videoton, sfidò il Real Madrid. Mi chiese com' era Ronaldo alla Juve.
Lui parlò del Milan di Capello e della scuola calcio intitolata a Ferenc Puskás: quello sì un ungherese che non creava divisioni a differenza di Orbán. Rise quando glielo feci notare. Rise di più alle domande su George Soros - «il mio argomento preferito» -, che «l'orbanismo» identifica nel nemico per antonomasia.
VIKTOR ORBAN JAROSLAW KACZYNSKI
Quasi due ore di quella conversazione sono condensate in un'intervista uscita su La Stampa nel 2019. Il resto è sparso nella mia memoria e in 35 mila battute su un file di Word salvato in più modalità. Ero talmente curioso di entrare nella testa di Orbán, che quando concordammo i temi di cui parlare, quasi dimenticai la stretta attualità politica. Volevo sapere quale autore l'aveva influenzato di più, cosa gli restava dell'esperienza a Oxford, quanto la storia della sua nazione pesava sulle sue scelte politiche, perché litigava con gli ucraini e apriva le porte ai soldi cinesi e russi.
Le risposte sono alcuni degli ingredienti alla base di questo libro: è un viaggio alle radici della democrazia illiberale e di come la demolizione delle categorie della liberal-democrazia ha consentito la creazione di un sistema ideologico alternativo in Polonia e Ungheria. È il racconto del passaggio dall'illusione democratica di Václav Havel all'esplosione del nazionalismo sino al rischio che la guerra in Ucraina faccia implodere il piano.
Orbán è stato la chiave che ha permesso di forzare alcune serrature e che ha aumentato la mia curiosità su quella parte di mondo uscito dalla Guerra Fredda con l'etichetta di Visegrád e diventato una sorta di «Signor No» dinanzi a svariate richieste di cooperazione con la Ue, sia sul bilancio comunitario e il Recovery Fund, sia soprattutto sulla ripartizione delle quote di profughi.
Queste pagine sono attraversate da una domanda, semplice nella formulazione, difficile nella risposta. Cosa pensano e vogliono i «ribelli d'Europa»? È impossibile rispondere senza immergersi nella «Europa degli altri», scandagliandone la storia, i costumi, il rapporto con la religione, l'uscita da decenni di dominio sovietico.
Se Orbán è una faccia della medaglia, l'altra è Kaczynski, il polacco ultraconservatore che da oltre vent' anni detta i tempi della politica di Varsavia. Dall'opposizione o dal governo. Accomunati dalla critica del liberalismo, sono divisi dal rapporto con Mosca. Trattano la storia come se fosse una materia da piegare all'attualità e ne esaltano la forza; considerano la religione intrecciata nell'identità nazionale e in questo sono entrambi ostili all'Unione europea post nazionale e post cristiana. Ed entrambi rifiutano gli immigrati. «Il migrante migliore è quello che non viene», dice Orbán.
mateusz morawiecki viktor orban matteo salvini
Visegrád non ha mai goduto di tanta notorietà come negli ultimi anni. L'abbiamo trattato come un monolite, compatto, duro, solido attorno alla propria visione. Non è propriamente così. Vi sono anime diverse, spinte centrifughe e anche le relazioni all'interno di questo gruppo sono modulate e influenzate da chi governa in un perenne alternarsi fra ideologia e pragmatismo. La compattezza sull'immigrazione fa così il paio con la rottura sulla guerra in Ucraina. Resisteranno i V4 (i quattro del gruppo di Visegrád: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) alle differenze di vedute su Putin?
Basterà - quando avverrà - l'uscita di scena di Orbán o Kaczyski per spingere la Mitteleuropa ad abbracciare totalmente l'ovest e il suo impianto valoriale? Non moriremo, dicono gli intransigenti a Budapest, sulle rive della Senna. Non c'è una riposta definitiva.
Il primo a dubitare delle ricette dell'Europa fu Václav Klaus, presidente del più euroscettico Paese dei Ventisette: la Repubblica Ceca.
VIKTOR ORBAN MATEUSZ MORAWIECKI
Waesa ha abbattuto un muro ma ne ha creato un altro. «I gay - disse nel 2013 - in Parlamento sono una minoranza che non mi piace, dovrebbero avere posto nell'ultima fila». Tutto porta all'interrogativo su quanto Visegrád oggi sia il prodotto di Orbán e Kaczyski, o la manifestazione di un sentimento identitario e nazionalista più diffuso.
Verità scolpite nella pietra non ce ne sono.
Negli ultimi vent' anni l'Europa ha visto l'allargamento del 2004, la crisi finanziaria, il tracollo della Grecia, il terrorismo a Parigi, Londra, Bruxelles, Madrid, Vienna, Nizza, Strasburgo; e ancora l'insorgenza dei nazionalismi, l'addio del Regno Unito, la crisi dei migranti, una bozza di debito comune Ue per rispondere al Covid e l'invasione russa dell'Ucraina.
Altre crisi arriveranno e così nuove risposte. Che ogni Paese declinerà con le sue priorità e visioni. E in queste pagine - senza indugiare nei dettagli della cronaca, che sarebbe stato impossibile riassumere - ho provato ad andare alla scoperta delle categorie che rappresentano l'essenza della Mitteleuropa. Per comprendere l'Europa degli altri. Senza entusiasmi, senza pregiudizi.
gruppo visegradviktor orban vladimir putinvladimir putin viktor orban 4
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