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Francesca Schianchi per La Stampa.it
Torna al Cairo l’ambasciatore italiano. Dopo un anno e quattro mesi di assenza, la Farnesina ha annunciato ieri la decisione di rinviare nella capitale egiziana il nostro rappresentante diplomatico, Giampaolo Cantini. A sbloccare la situazione - congelata da quando, nell’aprile 2016, l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni richiamò l’ambasciatore come protesta per la scarsa collaborazione egiziana sul caso della morte di Giulio Regeni - l’annuncio, fatto ieri dalla Procura di Roma, di aver ricevuto nuovi atti dai colleghi del Cairo, «un passo avanti nella collaborazione».
Una decisione maturata in realtà negli ultimi mesi, attraverso tappe successive e il lavorìo sotterraneo ma costante dell’“ala Realpolitik” del governo, rappresentata soprattutto da tre ministri: quello dell’Interno Marco Minniti, degli Esteri Angelino Alfano e della Difesa, Roberta Pinotti.
LA FAMIGLIA REGENI E IL PROCURATORE EGIZIANO SADEK
Una scelta suggellata infine dal via libera del Quirinale al premier Paolo Gentiloni che, restio alla decisione dopo aver promesso alla famiglia che l’ambasciatore non sarebbe tornato al Cairo senza discuterne con loro, ieri assicurava ai genitori molto critici che il nostro diplomatico avrà «il compito di contribuire all’azione per la ricerca della verità».
E’ da quando, tra maggio e giugno scorsi, s’è registrato un nuovo impasse nella collaborazione tra Procure - con le autorità egiziane che negarono ai colleghi di Roma la possibilità di assistere agli interrogatori sugli agenti che svolsero le indagini sulla morte di Giulio – che chi nel governo è da tempo convinto della necessità di rispedire il capo missione al Cairo s’è messo al lavoro.
VIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENI
A incaricarsi di un tentativo di mediazione è stato il presidente della Commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, vicinissimo al ministro Minniti: in luglio ha guidato una delegazione tripartisan (Pd, M5S e Fi) al Cairo per chiedere un «segnale» di maggiore cooperazione giudiziaria direttamente al presidente Al Sisi. Che, nota chi dall’Italia ha seguito tutta la vicenda, ha messo a un certo punto occhi e orecchie sulla questione: prima di questo incontro aveva inviato a Roma per lavorare a una ricucitura dei rapporti un suo fedelissimo come il presidente del Parlamento, Ali Ab del-Aal; poche settimane dopo, un altro uomo a lui vicino come il capo del sindacato dei giornalisti, il presidente del quotidiano filogovernativo Al-Ahram, Abdelmohsen Salama.
A giocare a favore della linea che voleva il rientro dell’ambasciatore al Cairo, il contesto di politica internazionale. Il riaccendersi della questione libica, l’incontro a Parigi tra il premier Sarraj e il generale Haftar, l’uomo della Cirenaica sostenuto dall’Egitto, ha fatto sottolineare a qualcuno di loro come il rapporto col Cairo sia necessario per gestire la difficile partita di Tripoli.
Poi, ieri, la dichiarazione della Procura romana: sono arrivati atti relativi a un nuovo interrogatorio, sollecitato proprio da Roma, dei poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del ricercatore friulano. In un colloquio telefonico con il procuratore Pignatone, l’omologo egiziano Nabil Ahmed Sadek ha ribadito che il recupero dei video della metropolitana – da tempo chiesti dall’Italia – è stato affidato a una società esterna e prenderà il via da settembre, con una riunione al quale sono invitati a partecipare i nostri inquirenti.
erri de luca manifestazione per giulio regeni
Segnali che hanno spinto anche il Colle a prendere posizione per l’invio dell’ambasciatore, naturalmente nell’ottica che contribuisca a dare impulso alla ricerca della verità . Così, alla vigilia di Ferragosto, a camere chiuse nel tentativo di sollevare meno polemiche possibile, l’annuncio dell’invio di Cantini. Plaude all’iniziativa il Pd («una decisione necessaria per l’accertamento della verità», approva Piero Fassino), come anche Fi, con Gasparri, mentre è una «pessima notizia» per Sinistra italiana.
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