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1. “NIENTE DIMISSIONI PRIMA DEL NUOVO ANNO”
Ugo Magri per “la Stampa”
Fino al 31 dicembre prossimo, Giorgio Napolitano resterà al suo posto. Il congedo del Presidente è nell’aria dal giorno in cui accettò il suo secondo mandato, e negli ultimi mesi ancora di più. Tuttavia non avrà luogo durante il semestre italiano di presidenza europea, che scade appunto la notte di San Silvestro. «È assolutamente gratuito ipotizzare dimissioni prima di allora», chiarisce una nota del Quirinale, diffusa verso sera per mettere fine alle solite chiacchiere di Palazzo, e anche a certe speculazioni politiche.
Per dirne una, da giorni Berlusconi andava ripetendo che lui non intende procedere con le riforme della Costituzione perché prima bisognerà eleggere il nuovo Capo dello Stato. In altri termini, Forza Italia aveva tentato di sfruttare a proprio vantaggio le dimissioni del Presidente in modo da ostacolare i piani di Renzi. Ecco: la nota del Colle fa chiaramente intendere che Napolitano non vuole entrare in questi giochi, né si presta a simili operazioni perditempo.
Sulle riforme intanto si vada avanti, è il senso della precisazione quirinalizia; quanto alle dimissioni, sarà il Capo dello Stato a decidere il come e il quando. Del resto, sta scritto nella nota, «si tratta di decisioni sulle quali egli rifletterà autonomamente, che per propria natura sono e devono essere tenute completamente separate dall’attività di governo e dall’esercizio della funzione legislativa», insomma nessuno le usi quale pretesto per non fare quanto dovrebbe.
Tra parentesi, la Costituzione prescrive che le Camere debbano riunirsi in seduta comune entro 15 giorni dalle dimissioni: immaginare che Napolitano possa lasciare a metà dicembre implicherebbe votazioni convulse nel bel mezzo delle feste natalizie, con un messaggio al Paese ben poco rassicurante. Figurarsi se Napolitano non ha dato uno sguardo al calendario. Semmai è desiderio del Presidente che il passaggio del testimone si svolga nella maniera migliore, senza rappresentare ostacolo per le tanto attese riforme, senza ostacolare gli sforzi del governo in tal senso, senza causare traumi politici e infine senza diffondere inutilmente nel mondo l’immagine di un paese che avvicenda il Capo dello Stato prima ancora di aver completato il proprio semestre di presidenza Ue.
Non a caso, precisa la nota del Colle, «il Presidente continua a essere impegnato in una serie già programmata di incontri e di attività istituzionali sul piano interno e su quello internazionale». Tutto continuerà a svolgersi secondo le direttrici che Napolitano aveva indicato il 22 luglio scorso, quando dichiarò: «Io sono concentrato sull’oggi, e ho innanzitutto ritenuto opportuno e necessario garantire la continuità ai vertici dello Stato nella fase così impegnativa del semestre italiano di presidenza». Da quei binari il Capo dello Stato non si allontana. La dimissioni arriveranno di sicuro, ma il momento esatto lo conosce soltanto l’inquilino del Colle.
2. L’ACCORDO SU UN NOME DI ALTO PROFILO POTREBBE TAGLIARE FUORI FORZA ITALIA
Ugo Magri per “la Stampa”
Alle ultime elezioni presidenziali, schiere di «franchi tiratori» gettarono i partiti nel caos. L’Italia ne uscì grazie a Napolitano, che accettò di caricarsi sulle spalle un altro biennio. Ora però questo supplemento è agli sgoccioli. La nota diramata ieri sera dal Colle colloca al primo posto un’ordinata transizione istituzionale, nei tempi e nei modi che Napolitano valuterà. Ma sarà davvero possibile evitare il caos o dobbiamo aspettarci un bis dell’aprile 2013? Dipenderà molto da Renzi.
In quest’anno e mezzo la geografia politica è parecchio cambiata a vantaggio suo. Non nei numeri, che restano gli stessi incominciando dai 1007 grandi elettori, ma negli equilibri dentro i partiti. Per certi aspetti la situazione si è rovesciata: l’epicentro della crisi l’altra volta si registrò a sinistra quale contraccolpo della mancata vittoria. Insieme con Sel e i rappresentanti delle Regioni, Bersani aveva sulla carta 470 voti laddove, per eleggere il nuovo Presidente, gliene sarebbero bastati 504. Nel segreto dell’urna le dissociazioni Pd superarono il centinaio. Si dimostrarono invece compatti i 150 grillini e i quasi 200 berlusconiani.
raffaele fitto silvio berlusconi
Nell’ultimo anno la situazione si è quasi rovesciata: M5S e Forza Italia hanno registrato scissioni, laddove il Pd ha tratto beneficio dalla cura-Renzi. Un po’ con le buone, un po’ con le minacce il premier ha messo il riga il grosso dei gruppi parlamentari. A conti fatti i critici irriducibili saranno 30, forse quaranta. Gli altri malpancisti, compresa la «Ditta» D’Alema-Bersani, non sembrano smaniare per una resa dei conti. Andranno sicuramente allo scontro in un caso: qualora Renzi puntasse per il Colle su un candidato (uomo o donna) dal profilo scialbo e pronto a sciogliere il Parlamento secondo i desideri di Palazzo Chigi.
C’è chi scommette che nel voto segreto potrebbe sfilarsi fino a un terzo del Pd. Per puro istinto di auto-conservazione si metterebbero di traverso gli alleati centristi. Tra i grillini dissidenti il candidato renziano raccatterebbe zero voti. A quel punto per salvarlo non basterebbe neppure il soccorso berlusconiano. Già, perché da 190 voti che controllava nella primavera 2013, al Cav sono rimasti 130 grandi elettori, che al netto dei seguaci di Fitto si riducono a una novantina esagerando...
Completamente diverso si presenta lo scenario se Renzi vorrà regolarsi da abile tessitore. Alla Cavour, per intendersi, anziché da Capitan Fracassa. Lanciando un candidato autorevole che gli sia amico, è logico, ma anche non sospettabile di agire al suo comando. Di figure con tali caratteristiche in fondo non ne mancano. E in questo caso, la mina sarebbe disinnescata. Nessuno, nel Pd, solleverebbe particolari obiezioni. Questo perlomeno giurano sottovoce i potenziali dissidenti.
Per cui, tornando al pallottoliere, quel candidato autorevole potrebbe perdere strada facendo 40 voti, forse anche 50, senza compromettere il risultato. In quanto dalla quarta votazione in poi gliene mancherebbero altrettanti, non di più, per tagliare il traguardo. Trovarli per Renzi sarebbe relativamente facile. Basti dire che di centristi a vario titolo se ne contano quasi duecento. Vuoi che la metà di loro, per ingraziarsi il futuro Presidente, non si disponga a dare una mano?
PIERLUIGI BERSANI MASSIMO DALEMA
Anche in questo caso, insomma, dell’apporto berlusconiano non ci sarebbe un’assoluta necessità. Anzi, per certi aspetti, l’ombra del Narazerno potrebbe complicare i giochi anziché semplificarli. Ambienti renziani la mettono giù così: «Se Silvio vorrà essere della partita, tanto meglio per lui e per tutti. Ma se pensa di imporre condizioni capestro, si sbaglia di grosso».
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