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DAGOREPORT - SE IN FORZA ITALIA IL MALCONTENTO SI TAGLIA A FETTE, L’IRRITAZIONE DI MARINA E PIER…
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L'establishment dei democratici americani ha un grosso problema. Era chiaro anche prima della schiacciante vittoria di Bernie Sanders nelle primarie del New Hampshire, ma adesso è diventato abbagliante. Il problema si chiama Wall Street, e il rapporto incestuoso (questo sì!) tra le banche e la signora Clinton. Tre episodi, niente affatto slegati, rischiano di deragliare il dibattito delle primarie su un binario molto pericoloso per Hillary.
La "candidata inevitabile" continua a calare nei sondaggi, aprendo la strada all'irrequieto Bloomberg. Pur restando favorita per la nomination, arriverà molto acciaccata alla convention di Philadelphia. E se come avversario alle elezioni di novembre dovesse avere i due miliardari (Trump e l'ex sindaco di New York) sarebbe più che spacciata.
1. I DISCORSI PER GOLDMAN SACHS
La Clinton, appena lasciato il ruolo di Segretario di Stato nel 2013, pur sapendo benissimo di avere in programma una nuova corsa verso la Casa Bianca, si è ributtata nell’attività che ha fruttato a lei e al marito decine di milioni di dollari: i discorsi. Solo i tre speeches tenuti a porte chiuse davanti a dirigenti e clienti della banca d’affari Goldman Sachs le hanno fruttato 675mila dollari, 225mila l’uno. In un’ora ha guadagnato più che in un anno da “ministro” dell’Amministrazione Obama (lo stipendio era di circa 186mila dollari).
In questi giorni, i suoi discorsi per i lupi di Wall Street sono diventati un'arma affilata per Sanders e per i giornalisti, che le hanno chiesto di rendere pubblici i verbali. Secondo chi era presente agli incontri con i banchieri – scrive Politico – “Hillary sembrava più un direttore esecutivo di Goldman”, e avrebbe anche criticato la legge Dodd-Frank sulla regolamentazione finanziaria, sminuendo il ruolo dei colossi del credito nella crisi del 2008.
La Clinton ha prima giurato che avrebbe affrontato il tema in un secondo momento, poi è andata al contrattacco sfidando gli altri candidati a rivelare il contenuto di tutti i loro discorsi fatti a porte chiuse davanti a società e associazioni.
La gestione mediatica della faccenda è stata maldestra, come spesso accade con Hillary (il caso e-mail insegna). Quando le è stato chiesto il perché di una somma così alta, ha risposto “E’ quello che mi hanno offerto”. La storia dei verbali da rendere pubblici la inseguirà a lungo, specialmente alla luce di quello che è successo due giorni fa. Che riguarda un ex uomo chiave dell'Amministrazione Obama.
2. L'EX MINISTRO DI OBAMA, TIM GEITHNER, PRENDE SOLDI IN PRESTITO DA JPMORGAN PER INVESTIRLI NEL SUO FONDO DI PRIVATE EQUITY
Il tema delle porte girevoli tra politica e finanza – caro alla senatrice Elizabeth Warren più che a Sanders, ma lei ha scelto di non correre, e Bernie ci si è buttato a corpo morto – torna in primo piano con la notizia, rivelata da Bloomberg (e non è un caso), che riguarda l’ex ministro del Tesoro, nonché ex presidente della Federal Reserve di New York Timothy Geithner. Il 54enne ha preso un prestito da JpMorgan Chase, una delle banche beneficiarie del bailout pubblico varato da Obama e Geithner nel pieno della tempesta finanziaria seguita al crac di Lehman Brothers.
Cosa ci ha fatto con questa linea di credito il pacato Tim, una vita da civil servant dedicata al bene pubblico? Ci ha comprato una casa per i figli? Una Prius usata? No, ha investito i soldi nel private equity Warburg Pincus, di cui è presidente e direttore esecutivo da due anni, da quando ha lasciato il suo ruolo al vertice del Tesoro.
La somma non è stata resa nota, ma è ingente e sarà “buttata” nel fondo da 12 miliardi di dollari che la Warburg Pincus ha creato lo scorso novembre (in totale gestisce circa 40 miliardi di asset). E’ una pratica diffusa tra i manager del settore: investire svariati milioni di tasca propria nei fondi che gestiscono, per mostrare agli investitori di avere a cuore il successo dell’operazione.
“Se sei il gestore di un fondo simile, hai buone probabilità di guadagnare dal 20 al 30% sulla tua posizione”, dice a Bloomberg Tom Berhardt, senior vice president di TorreyCove Capital Partners, “perché mai non indebitarti con un tasso poco superiore al Libor e sfruttare l’occasione?”.
Lo spread sul Libor concesso ai finanzieri professionali va in genere dall'1,5 al 4,5%: le banche sono felici di lavorare con questi grossi fondi, e i manager proteggono il loro capitale personale da una dose eccessiva di rischio sull’investimento. Se tutto va a gambe all’aria, sarà la banca a rimetterci.
Con un passato ai massimi livelli della pubblica amministrazione, Geithner ha accumulato un gruzzolo dignitoso (3,2 milioni di dollari, prima di entrare nel Governo), ma niente a che vedere con le somme che bisogna investire in questi private equity per dire a clienti ricchissimi: seguitemi. Così deve aver riempito un modulo alla JpMorgan, la stessa banca che aveva ricevuto da lui 25 miliardi grazie al TARP, Troubled Asset Relief Program, ha preso il malloppo e l’ha depositato direttamente nei conti della società da lui gestita.
La stessa banca il cui CEO Jamie Dimon (tuttora al vertice), disse dal palco di una conferenza nel 2009: “Dear Timmy, siamo felici di restituirci i soldi che ci hai prestato”, declamando una lettera immaginaria.
Lo stesso Jamie Dimon che Geithner reclutò come membro del consiglio di amministrazione della Federal Reserve di New York, quando era diretta da lui, e che ha occupato quella poltrona dal 2007 al 2012, ovvero prima, durante e dopo la più tremenda crisi finanziaria degli ultimi 80 anni, causata soprattutto (checché ne dica lady Clinton) dalle banche dirette da lupacchiotti di Wall Street come Dimon.
Inutile dire che Geithner sarà sicuramente un uomo di specchiata onestà e che il mirabolante conflitto di interessi qui descritto non ha niente a che fare con l'impiego che ha ottenuto, né con il prestito concesso. Inutile anche ricordare che il suo predecessore, Henry Paulson detto Hank, aveva 292 milioni in tasca quando ha lasciato Goldman Sachs, per ricoprire il ruolo di ministro del Tesoro, prima con Bush jr., poi con Obama.
È però utile citare Paulson per riallacciare il discorso al paragrafo iniziale, quello su Goldman Sachs, senza dubbio la banca più potente del mondo, e chiudere il cerchio del "rapporto incestuoso".
3. LLOYD BLANKFEIN CHIAMA SANDERS UN CANDIDATO “PERICOLOSO”
Pochi giorni fa, parlando alla CNBC, il CEO di Goldman Lloyd Blankfein – che, come Dimon, ha deciso di lottare contro il tumore che gli è stato diagnosticato senza abbandonare deleghe né poltrone – ha detto che le frasi di Sanders contro i banchieri di Wall Street, e in particolare sulla sua banca e i legami con Hillary Clinton, sono un “momento pericoloso” nella storia americana, un momento in cui gli attacchi diventano “personalizzati”.
Al giornalista che gli chiedeva se sostenesse Hillary per la presidenza, o quantomeno per le primarie, non ha voluto rispondere: “Non voglio aiutare né danneggiare qualcuno con il mio endorsement”. Naturalmente la sostiene e la finanzia, ma non lo può dire.
OBAMA E GEITHNER NEL FOTOMONTAGGIO CON LA FRANGETTA
Da dove arriva l’astio di Bernie, il socialista democratico, per Blankfein? Ce lo ricorda The Intercept, il sito creato da Glenn Greenwald, che ripesca l’intervista del banchiere a 60 Minutes, programma cult dell'informazione americana, nel 2012.
Era un momento in cui gli Stati Uniti, fuori dalla recessione, discutevano sulla spesa e il debito pubblici, schizzati alle stelle negli anni dei salvataggi e delle garanzie statali. Era in corso la campagna per le presidenziali che avrebbero visto contrapposti Barack Obama e Mitt Romney.
L’ineffabile Lloyd, nel video, dispensa una serie di lezioni non solo ai politici, ma a tutto il popolo americano: “Bisogna fare qualcosa per ridurre le aspettative della gente. Pensano che riceveranno tutti i loro benefit di Medicare e Social Security. Non sarà così, non possiamo permettercelo. Bisognerà andare in pensione più tardi, ritardare il momento in cui potranno godere dell’assistenza sanitaria. I sussidi devono essere ridotti”.
Pochi giorni dopo, Sanders fece un durissimo intervento in Senato, intitolato “Ecco la faccia della lotta di classe (class warfare)”: “Non c’è fine all’arroganza…Lloyd Blankfein è il CEO di Goldman Sachs…durante la crisi finanziaria la sua banca ha ricevuto un totale di 814 miliardi di prestiti a interessi quasi zero dalla Federal Reserve, e un bailout dal Tesoro di 10 miliardi. E ora, dall’alto della sua ricchezza smisurata, viene a Washington a farci la lezione su come tagliare i programmi di assistenza sanitaria e previdenziale, per colpire decine di milioni di americani che faticano a tenere la testa fuori dall’acqua”.
E qui torniamo al nocciolo del problema per Hillary e i suoi amici lupacchiotti. Sanders lo ripete a ogni raduno: vi prometto che colpirò le banche, e che mai vi dirò “non ci sono i soldi” per i sussidi, anzi li estenderò a tutti. Sono stati “trovati” centinaia di miliardi per puntellare Wall Street, la Fed ha iscritto a bilancio 3,5 trilioni di dollari per il suo quantitative easing che ha drogato le borse (ora in picchiata). Metterò sempre prima voi, cari cittadini, davanti ai banchieri. Hillary lo sa, e non dorme tranquilla. Anche perché lo stesso discorso, meno socialista ma altrettanto anti-finanza, lo fa pure Trump.
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