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Fabio Martini per ‘La Stampa’
RENZI E GRILLO a bbed a aee b ae aad
Il Presidente del Consiglio, si sa, decide spesso le cose più importanti un momento prima e dunque soltanto nei prossimi giorni valuterà se insistere con l’idea che gli circola in testa in queste ore: mandare all’incontro con i Cinque Stelle una delegazione guidata da Lorenzo Guerini e da Maria Elena Boschi. Persone di fiducia, ma non Renzi in persona.
E d’altra parte una certa diffidenza nei confronti dell’apertura di Beppe Grillo, il presidente del Consiglio l’ha lasciata trapelare anche parlando davanti agli imprenditori veneti, quando ha detto: «Ora tutti sono favorevoli a fare le riforme ed è positivo. Tutti attorno a un tavolo, meglio via mail che si fa prima». Confrontarsi sul Senato e sulla Costituzione via mail: una battuta alla Renzi o il sospetto per quel che potrà venire dai Cinque Stelle?
Una cosa è certa: in poche ore due soggetti sono venuti inaspettatamente allo scoperto, offrendo la propria disponibilità a dare una mano sulle riforme istituzionali: Cinque Stelle e Lega. Due partiti di opposizione, come lo è Forza Italia, che finora aveva spalleggiato in solitudine la vocazione riformatrice del governo. Di colpo Renzi si ritrova la disponibilità di tre «forni» per impastare il pane delle sue riforme, sulla carta uno scenario invidiabile: per qualsiasi politico è prezioso poter disporre, oltre ad un’opzione principale, anche di alcune subordinate.
Ma a palazzo Chigi non è ancora del tutto chiaro cosa abbiano in testa Grillo e Casaleggio sulla riforma elettorale. Nel colloquio di ieri mattina col Capo dello Stato, nel corso del quale hanno prevalso altri temi (viaggio in Cina, decreto quasi omnibus su «semplificazione e crescita», imminente Consiglio Supremo di Difesa, Consiglio europeo), Renzi e Delrio hanno spiegato al Capo dello Stato di guardare con compiacimento all’apertura, di non credere a un bluff di Grillo, anche se il «cantiere» del governo già da tempo è al lavoro.
In compenso Renzi ha ben chiaro a cosa sia impossibile rinunciare nella trattativa: doppio turno e ballottaggio, i due «scalpi» più preziosi strappati a Berlusconi, trattandosi di un sistema che nei Comuni ha favorito le ripetute vittorie del centrosinistra negli ultimi 20 anni.
Tanto è vero che quando Renzi ha confidato per la prima volta ad Angelino Alfano di aver convinto Berlusconi, il leader del Ncd gli ha confessato che (quasi) non ci credeva. E che questa sia la linea del Piave, lo lascia capire Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, uno dei pochi interpreti autorizzati del Renzi-pensiero: «La proposta di una legge elettorale in senso proporzionale, avanzata dal M5S non risponde alle esigenze di governabilità» e «non va nell’interesse degli italiani».
Ma se l’Italicum renziano e il sistema simil-spagnolo caldeggiato dai Cinque Stelle appaiono inconciliabili, un filo di inquietudine nel Pd lo provoca la possibile battaglia in «positivo» dei seguaci di Grillo a favore delle preferenze, un tema sul quale quel che resta della minoranza Pd annuncia di essere pronta a convergere, assieme al Nuovo Centro Destra e ai tanti frammenti centristi.
Dice il bersaniano Alfredo D’Attorre che la svolta grillina potrebbe «essere utile», «perché tocca un punto dolente dell’Italicum: la liste bloccate, che vanno assolutamente riviste». Una modifica vista con ostilità da Berlusconi. Meno diffidenza, a palazzo Chigi, verso l’apertura della Lega, interessatissima all’attribuzione di maggiori poteri alle Regioni nel nuovo Titolo V. Un’intesa che si può fare. Al punto che ieri sera Renzi confidava: «Questa sarà la settimana decisiva per le riforme».
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