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Ugo Magri per “la Stampa”
Le riforme potranno saltare, e il governo idem, solo se l'intera minoranza Pd si metterà di traverso. In quel caso non occorre il pallottoliere per comprendere la difficoltà di Renzi.
Oggi il premier dispone a Palazzo Madama di oltre 180 voti. Se gliene venissero a mancare 25, forse la riforma del Senato passerebbe ugualmente, ma con enorme fatica.
O più probabilmente verrebbe mutilata e stravolta.
Perché la ribellione della sinistra Pd ne scatenerebbe una analoga tra i centristi. E la fronda Ncd (che ricorda una fisarmonica, si comprime o si dilata a seconda delle circostanze) prenderebbe forza, farebbe massa critica con gli avversari interni di Renzi. La prospettiva di tornare alle urne spaventerebbe qualcuno dei congiurati, su questo non ci piove. Ma non tutti si lascerebbero condizionare dalle minacce del premier: molto dipenderebbe dai calcoli e dalle convenienze individuali.
Il destino delle riforme verrebbe a dipendere dal cosiddetto «soccorso azzurro», cioè dal sostegno di alcuni senatori berlusconiani. Quelli tentati dal voto favorevole sono al momento una decina, da Auricchio a Bocca, da Cardiello a Carraro, da Ceroni a Fasano, da Coma a Sibilia, da Villari a Giffada. Berlusconi fino ad oggi non ha mosso un dito per fargli cambiare idea. Ma pure col loro apporto la maggioranza in Senato sarebbe talmente esile da mettere Renzi alla mercé di tutti i ricatti. Difficile tirare avanti così.
L' ALTRO SCENARIO
Se invece l' intera sinistra Pd piegasse la testa, accettando i diktat del governo sulla riforma del Senato, per il premier sarebbe la più spettacolare delle vittorie. Perché a quel punto pure i dissidenti Ncd se la darebbero a gambe. E a parte 4-5 irriducibili, tutti gli altri senatori della maggioranza voterebbero senza fiatare. Col risultato che, per varare la riforma e per mandare avanti il suo governo, in teoria Renzi non avrebbe nemmeno più bisogno di Verdini e dei suoi 11 senatori (ieri si è aggiunto il pugliese Amoruso, fuggito anche lui da Forza Italia).
Non è un caso che, per poter contare in futuro, l' ex braccio destro del Cavaliere punti sul terzo scenario, quello dove la sinistra Pd non vota tutta a favore e nemmeno tutta contro, ma si lacera al suo interno e si divide, per esempio 10 di qua e 15 di là.
IL SOGNO DI VERDINI
Se così andasse, la riforma potrebbe contare in aula (perlomeno nei passaggi chiave) su 165-170 voti, qualcuno più dei 161 che rappresentano la maggioranza assoluta e pure la soglia da superare nell' ultimo passaggio, quando la riforma del Senato tornerà a Palazzo Madama per la lettura finale. Verdini risulterebbe decisivo, determinante, insostituibile. Diversamente da Gal, che offre a Renzi 5-6 voti senza nulla chiedere in cambio, le pretese del gruppo verdianiano si farebbero esose. E il «Partito della nazione» una prospettiva con cui fare seriamente i conti.
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