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Maria Teresa Meli per "Corriere della Sera"
Nella notte della vittoria di Bersani non si dorme. E soprattutto non si indulge nei festeggiamenti infiniti. C'è tanto, troppo da fare. Così cominciano a partire le prime telefonate e si abbozzano le prime trattative.
«Dobbiamo collaborare tutti, dobbiamo lavorare con Renzi, sarebbe un errore non coinvolgerlo, perché raccoglie dei consensi che poi possono andare al Pd»: sono queste le parole d'ordine del segretario del Partito democratico. Ma la sua maggioranza è divisa.
Ci sono gli aperturisti, ossia quelli che vogliono il dialogo con il sindaco di Firenze. Tra di loro c'è Massimo D'Alema, che nonostante abbia mostrato in questi giorni il viso dell'arme, ritiene che i vertici del Pd debbano agganciare Renzi, tentando con lui l'operazione portata avanti con Vendola.
Il «governatore» della Puglia, che ha un passato di dissidi e di sfide alle primarie pugliesi con il presidente del Copasir, ora è diventato il suo più strenuo sponsor: «Massimo deve andare agli Esteri», è la richiesta che ha già avanzato. E D'Alema gli ha prontamente ricambiato la cortesia: «Vendola sarà ministro».
Dunque l'ex premier ha come obiettivo quello di «addomesticare» il sindaco di Firenze come ha fatto con il presidente della regione Puglia. Non è quindi un caso che molti esponenti del Pd a lui vicini si aprano al dialogo con Renzi: Matteo Orfini, Stefano Fassina, il direttore dell'Unità Claudio Sardo e tanti altri ancora. Sono il pacchetto di mischia dei dalemiani che orbitano in area Bersani.
Ma gli aperturisti sono anche altri: Enrico Letta, Marco Follini, Goffredo Bettini, Paola Concia, Vasco Errani, Dario Franceschini e quel Fabrizio Barca, che il segretario e il presidente del Copasir vorrebbero in Campidoglio o nel governo che verrà . Walter Veltroni, com'è ovvio, è un altro dei big del partito che spinge per l'intesa con il sindaco di Firenze. Del resto, quasi metà dei suoi parlamentari si è schierata sin dall'inizio con Renzi.
Ma c'è anche chi chiude la saracinesca. Franco Marini, per esempio, che esulta per la vittoria di Bersani: «C'era il rischio che altrimenti saremmo andati a schiantarci tutti». E Beppe Fioroni, che ha maturato questa convinzione: «Basta annusare la politica per capire che alla fine Pier Luigi siglerà un patto con Matteo, e a quel punto rischiamo tutti di essere emarginati». La pensa nello stesso identico modo Rosy Bindi, che con Susanna Camusso, è una delle pasionarie anti-Renzi. Solo la direttrice di Youdem Chiara Geloni e la portavoce del comitato Bersani Alessandra Moretti sono più scatenate della presidente del partito e della segretaria della Cgil.
Nel fronte degli anti-renziani anche Nico Stumpo, Roberto Speranza e Tommaso Giuntella. Ma la geografia del Pd è un po' più complicata di così e non si esaurisce in questi schemi. Ci sono i non allineati, come Nicola Zingaretti e Piero Fassino: il presidente della provincia di Roma e il sindaco di Torino fanno parte dell'area dei moderatamente bersaniani, e non hanno ancora deciso quale comportamento tenere con Renzi.
Infine ci sono personalità del calibro di Romano Prodi e Giorgio Napolitano, che per il ruolo che ricoprono hanno tenuto un atteggiamento imparziale nei confronti di entrambi i contendenti. Ma due esponenti del Pd a loro molto vicini, che però hanno sempre mantenuto la loro autonomia, come Arturo Parisi e Umberto Ranieri, hanno votato per il sindaco di Firenze.
Comunque, nell'arcipelago del Partito democratico, Bersani si muove con sufficiente maestria. E ha alcuni punti fermi. Primo, «collaborare con Renzi»; secondo, tentare l'aggancio con Casini, onde evitare di avere una maggioranza di governo appesa a Vendola. Su quest'ultimo fronte le trattative vanno avanti da tempo.
Sul primo ci sono più difficoltà . Renzi non punta a un compromesso al ribasso: «Non ho fatto tutta questa battaglia per prendere un terzo del partito». E non vuole dare l'impressione di correre appresso al vincitore: «Io me ne sto a Firenze a guardarli inseguire tutti gli elettori che hanno cacciato via, non facendoli votare al ballottaggio. Incontrerò senz'altro il segretario, ma dopo Natale perché ora ho da fare: ho un sacco di arretrati da smaltire a Palazzo Vecchio».
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