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Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
«Renzi era andato al di là di quanto potesse permettersi e io mi sono trovato costretto a rispondere alle accuse. Ma non è il caso di continuare...». E invece Juncker ha continuato, l’altra sera. Forse perché compiaciuto dell’attenzione che gli stavano prestando gli europarlamentari Popolari alla riunione del loro gruppo. Forse perché soddisfatto per i toni ultimativi usati verso il premier italiano dal commissario socialista Moscovici: «Anche lui l’ha abbandonato», aveva commentato a voce alta, dopo aver letto in tempo reale la dichiarazione sul telefonino.
Forse per questo Juncker ha continuato. O forse c’era dell’altro, se è vero che dopo aver recitato i comandamenti europei, dopo aver detto con austera enfasi che «l’equilibrio dei conti va mantenuto» e che «nessuno può pensare di sommare flessibilità a flessibilità», il presidente della Commissione ha mutato espressione del volto e idioma volgendosi verso il tedesco Weber.
Ed è proprio in tedesco che ha regalato al capogruppo del Ppe una battuta: «Quella di Renzi è una tipica esuberanza giovanile». Una risata partecipativa ha riempito la sala, e con sapiente scelta dei tempi Juncker ha fatto come a volerla contenere, quasi per schermirsi: «Ma no... Sono certo che acquisirà maturità in futuro».
Ecco, c’era dell’altro. Perché in quella manifestazione di potenza si è colta la reazione composta e indignata di chi vede nel «giovane Renzi» un trasgressore di riti antichi, colpevole del reato di lesa maestà. Renzi è l’eretico da ricondurre all’ortodossia dei numeri e delle cerimonie, così da dare l’impressione che l’ordine sia stato ricostituito.
Ma la Bruxelles del 2016 non è più la Bruxelles del 2011, il castello europeo mostra tutte le sue crepe e i suoi custodi hanno perso forza e incisività. Non a caso, dietro quella risata, tutti nervosamente si domandavano (e si domandano ancora) cosa voglia davvero Renzi, che indica i populisti come i barbari alle porte e pretende un posto al tavolo che conta: tavolo al quale — dice — «noi non ci siamo mai seduti».
Tolto ogni orpello retorico, il premier italiano esprime un concetto semplice: siccome è seduto a Palazzo Chigi, vorrà ritornarci dopo le elezioni. Resta da capire cosa è disposto a fare per riuscirci, e fino a che punto si spingerà in un conflitto che lo stesso Juncker l’altra sera diceva di non voler continuare e che invece continua, sotto forma di battute e di puntualizzazioni: «Non è vero, come dice Renzi, che Roma contribuisce per venti miliardi al bilancio europeo. Ne versa quattordici e ne riprende undici». Avanti così il castello rischia di crollare. E non sarebbe solo un problema dei suoi custodi ma anche di Renzi. Dopo cosa ci sarebbe?
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