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Fabio Martini per "la Stampa"
Un politico di lungo corso come Pier Ferdinando Casini l'ha buttata lì: «Non escludo niente, nemmeno che si possa tornare a votare fra sei mesi. Ovviamente, sarebbe una ipotesi nefasta per il Paese». Certo, tornare a votare a giugno è uno scenario paradossale e infatti un politico come Casini lo agita ad arte, come uno spauracchio per inquietare i tanti elettori che sperano sia tutto finito fra dieci giorni, la sera del 25 febbraio.
Eppure, se elezioni-bis fra tre mesi appaiono improbabili, è altrettanto vero che lo scenario italiano rischia di essere destabilizzato anche dalla originale convergenza di vicende giudiziarie imponenti: quelle che hanno colpito due giganti della «mano pubblica» come Eni e Finmeccanica, la terza banca del Paese, un numero crescente di imprenditori.
E comunque una legislatura della durata di uno-due anni annovera tifosi occulti, nemici sfegatati ma anche sostenitori espliciti. Tifosi ben camuffati sono tutti quelli che sono stati costretti a restare ai «box» in questa campagna elettorale, i quaranta-cinquantenni del Pdl ma anche del Pd, in primis Matteo Renzi. Lui non lo confesserebbe in pubblico nemmeno sotto tortura, ma nelle chiacchierate con i suoi amici lo ripete : «Questa è una legislatura che dura al massimo due anni...».
Tra i nemici dichiarati di una legislatura breve ci sono tutti i politici largamente «sospettati» di essere all'ultimo giro: Berlusconi, D'Alema, Veltroni, Casini, Fini, mentre l'unico fan dichiarato è Beppe Grillo: «à solo una questione di tempo: se non facciamo il botto subito, lo facciamo in autunno. Restando così la situazione, torniamo alle urne fra sei mesi».
Ovviamente tutto dipende dai numeri che usciranno dalle elezioni. Quelli indicati dagli ultimi sondaggi «legali» suggerivano equilibri incerti, non tanto alla Camera (vittoria quasi certa del Pd), quanto al Senato, dove una discreta tenuta del centrodestra e un mancato decollo dell'area Monti potrebbero aprire la strada o ad un governo di sinistra-centro Bersani-Monti, ma anche ad una Grande Coalizione.
E proprio lo scenario del governissimo, che per il momento viene riproposto nella chiacchiera mediatica come folcloristica replica della maggioranza «Abc», in realtà vanta un «retroterra» più forte di quel che si potrebbe immaginare. Il suo fan più convinto (anche se per ora si tiene sulle sue) è Mario Monti e dietro di lui le diplomazie di mezzo mondo.
E dopo la raffica di inchieste, arresti e sentenze che si stanno condensando in questi giorni, c'è qualcuno che legge tutto questo proprio come un antipasto della «Grossa coalizione». Sostiene un uomo di punta dell'ultima fase della Prima Repubblica e oggi accreditato dietrologo come Paolo Cirino Pomicino: «Mettiamo assieme tante coincidenze: inchieste su aziende e banche che durano da tempo ed esplodono tutte assieme proprio ora, il console Usa che denuncia i pericoli di Milano, il presidente del Consiglio che arruola un guru americano, le elezioni che non daranno un vincitore netto: tutto questo cospira verso una grande coalizione che non potrà che essere guidata da Mario Monti...».
Ma alla fine il rischio che le prossime elezioni non possano essere risolutive, in via informale è condiviso da quasi tutti i leader della politica, anche se soltanto chi si è tirato fuori può spiegarlo meglio: «Sia che vincano i progressisti sia che vinca Berlusconi dice Arturo Parisi - la coalizione vittoriosa potrà contare su poco più del 30 per cento dei consensi popolari e dunque c'è da immaginare che paradossalmente nessuno dei due mini-poli si auguri di governare da solo. Quanto all'esecutivo che verrà fuori, potrà durare poco o anche tutta la legislatura, ma sappiamo già che sarà un esecutivo debole, frutto naturale della grande frammentazione che si sta esprimendo in queste elezioni».
bersani e montibersani-mario-montiMARIO MONTI A BERGAMO Casini berlusca MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIO
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