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RENZI CONVINCE TUTTI ALLA DIREZIONE PD BY VINCINO
“Se non abbiamo i numeri, prendiamo tempo…magari recuperiamo qualcuno”. Matteo Renzi non ha perso la speranza di riuscire a far approvare così com’è la riforma del Senato dall’aula di Palazzo Madama, ma Luigi Zanda, capogruppo Pd al Senato, e Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali, non gli hanno lasciato troppe speranze: i numeri, semplicemente non ci sono. Alla fine bisognerà trovare un’intesa con la minoranza del partito. E sarà un’intesa costosa.
LUIGI ZANDA ALLA DIREZIONE PD ABBASSA SUBITO IL LIVELLO BY VINCINO
Oggi riprendono i lavori in Commissione sulla legge che abolisce il Senato elettivo e, per dare un segno della difficoltà della partita, non è neppure stato preparato un calendario dei lavori. In Commissione l’equilibrio è perfetto: 14 voti per parte. Difficile fare strappi e impostare quelle corsie preferenziali che piacerebbero a ministro Maria Elena Boschi. Lei vorrebbe che la legge passasse senza modifiche entro l’8 agosto – lo aveva promesso all’amico Matteo – ma le possibilità di successo sono ridotte al lumicino. Si finirà a settembre, a meno di accordo politico con la minoranza.
I numeri aggiornati sono questi, secondo quanto ha potuto ricostruire Dagospia parlando con alcuni senatori. Il governo ha una maggioranza di 7 senatori, ai quali si possono aggiungere gli ex forzisti Sandro Bondi e Manuela Repetti. Il margine per Renzi sale dunque a 9. A questi si potrebbero sommare i verdiniani, che secondo i calcoli più generosi possono arrivare a quota 12. Il risultato finale è 21 deputati di vantaggio.
Ma ora viene il momento delle sottrazioni. Contro il testo attuale della riforma si sono già espressi 25 senatori delle minoranze del Pd, che la scorsa settimana hanno firmato il testo messo a punto da Vannino Chiti, Maria Grazia Gatti e Miguel Gotor. A questi vanno aggiunti anche Corradino Mineo, Felice Casson (che era sull’Himalaya), Silvana Amati e altri due senatori. Il totale fa 30 “dissidenti”. Se li si sottrae ai 21 senatori di vantaggio renziano si vede che il premier è sotto di nove.
Il dato preoccupante per il bulletto di Rignano sull’Arno è che un anno fa i dissidenti al Senato erano 16 e che questa volta si sono aggiunti anche i bersaniani. Possibilità che qualcuno ritorni all’ovile? Pari a zero, giurano tra i frondisti. Per almeno due motivi. Dopo le Regionali è girato il vento, Renzi non ha più l’aurea da invincibile Conducador, ha perso tocco magico e fascino e chi ha vissuto sotto il suo tallone questo anno e mezzo ha capito che è arrivato il momento di limargli le unghie. In secondo luogo, Renzi non agita più lo spauracchio delle elezioni anticipate perché ha capito che con Mattarella non si scherza e poi si va a votare davvero. E ha paura lui per primo delle elezioni.
FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE
La convinzione dei 30 piddini che preparano le barricate è dunque quella che con Renzi la trattativa si aprirà. Anche se la scorsa settimana c’è stata una brutta falsa partenza, come spesso accade causata dall’eccesso di disinvoltura del premier con la stampa amica. E’ successo che martedì Palazzo Chigi ha suggerito a “Repubblica” e “Corriere” che si stava trovando un accordo con la minoranza sulla base di un Senato che tornava in qualche modo elettivo, anche se attraverso un listino da votare insieme alle Regionali e in base a una legge ordinaria da approvare in separata sede. Un escamotage che aveva il pregio di non alterare l’articolo 2 della riforma e di non richiedere nuove letture della legge.
Soluzione acrobatica ma ingegnosa. Peccato che non fosse minimamente stata accettata dalla minoranza piddina, che per tutta risposta ha tirato fuori il documento dei 25 con tutte le controproposte. “Abbiamo dovuto accelerare per stoppare sul nascere la disinformazione renziana”, racconta un senatore. A questo portano gli eccessi di zelo.
Ora, quando si chiuderà la fase in cui Zanda e Renzi tentano di recuperare qualche dissidente, tutti giurano che la trattativa vera e propria si dovrà aprire per forza, per via di quei famosi numeri che non ci sono. Il presidente del Consiglio, alla fine, potrebbe accettare alcune delle proposte della minoranza, in particolare quella sul Senato eletto nel corso delle elezioni regionali, ma “con una lista a parte e una marcata proporzionalità nell’assegnazione dei seggi”, come riassume oggi Massimo Mucchetti in un intervento sull’”Unità”, nel quale si sfida Renzi a ridurre anche il numero dei parlamentari.
Il risultato sarà che la legge richiederà altre due letture e il referendum costituzionale non si potrà tenere nella prossima primavera, insieme al voto per i sindaci. Ma è sempre meglio che andare sotto, per Pittibimbo.
Di sicuro oggi si entra in una fase nuova, certo non strombazzata dai giornaloni. La fase in cui il premier spaccone inizia a fare i conti con l’essere in minoranza al Senato.
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