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IL PROFESSORE: "NON SAPEVO NULLA DI DE GREGORIO, ERANO SOLTANTO CHIACCHIERE"
Stefano Zurlo per “Il Giornale”
Un «chiacchiericcio continuo». Voci e ancora voci sul cambio di casacche in Senato. Romano Prodi vola basso e se la cava con una lezione di nouvelle vague davanti ai giudici di Napoli. I pm che processano Silvio Berlusconi e Valter Lavitola per la compravendita di alcuni parlamentari e la conseguente caduta del governo Prodi, vanno giù pesante.
C'erano manovre nascoste che potessero determinare il passaggio dal centrosinistra al centrodestra durante il suo governo fra il 2006 e il 2007?, chiede il pm Vincenzo Piscitelli. Domandona in bilico fra politica e cronaca giudiziaria, ma Prodi si allontana dai radar della procura e quasi schiva il quesito: «Erano chiacchiere quotidiane e mai fui informato di cose specifiche, altrimenti sarei ancora presidente del consiglio».
cena fund raising di forza italia silvio berlusconi
Il superteste è chiaro ma a scanso di equivoci precisa ancora: «Non ho mai avuto riferimenti specifici che un solo parlamentare si indirizzasse verso un altro partito, l'ho saputo solo quando ho ricevuto la lettera del senatore Sergio De Gregorio che mi chiedeva perdono per il disvalore delle sue condotte. Era il luglio del 2013». Un anno fa. Per la cronaca De Gregorio, che è uscito dal processo con un patteggiamento, sarebbe passato dall'altra parte dell'emiciclo dietro un compenso di tre milioni di euro.
Ma le antenne del premier all'epoca non captarono alcun movimento sospetto. Solo un'impenna delle polemiche quando il senatore venne eletto alla presidenza della Commissione difesa: «Fu una nomina molto contrastata e contestata, perchè arrivata con i voti dell'opposizione». Tutto qua. Dentro un clima di fibrillazione perenne, anzi quasi da Vietnam, nella coalizione di governo: «Ogni giorno c'erano incontri per contare i senatori sulla tenuta della maggioranza. Se avessi saputo che il senatore De Gregorio intendeva passare al centrodestra avrei avuto più attenzione».
VALTER LAVITOLA A FIUMICINO jpeg
Buoni propositi, altro non c'è. Il rumore di fondo che Prodi ricorda è quello delle «chiacchiere quotidiane». Dei continui aggiornamenti all'ultimo voto sul pallottoliere. La procura cerca tracce di pagamenti, bonifici, benefit; la verità, la verità che conosce anche Romano Prodi è più semplice: la maggioranza risicata, anzi risicatissima che lo sosteneva alla fine si sfaldò.
«Se fossi stato informato di vicende precise, a quest'ora sarei ancora presidente del Consiglio - nota con un pizzico di rimpianto l'ex capo del governo - Io al governo ci stavo bene». «Lo sappiamo che si stava bene», replica pronto Nicolò Ghedini che difende il Cavaliere anche sul fronte campano.
Certo, la caduta arrivò inattesa, in un frangente di relativa bonaccia, ma oltre Prodi non va: «La crisi arrivò in un momento inaspettato, quando c'era un'apparente tranquillità. Era infatti appena passata la Finanziaria dopo un mese di dicembre durissimo». Questo è tutto. Poi ci sono le singole vicende che possono essere dettagliate per descrivere la complessità della politica.
Ghedini vuol sapere della minoranza linguistica di lingua tedesca e Prodi spiega: «L'appoggio al governo è sempre fondato su un rapporto politico. Gli altoatesini, ad esempio, pur essendo più di centrodestra, si fidavano di me. E portavano avanti le richieste per il loro territorio. La politica si fa così».
Probabilmente la procura si aspettava di più, ma Prodi non aggiunge una virgola alla tesi dei pm. Non disegna complotti, non chiama in causa manine, non s'improvvisa detective o dietrologo. Consegna, unico contributo al dibattimento, la lettera di De Gregorio e la sua risposta, poi si congeda, dopo aver sintetizzato con tre parole il suo punto di vista: «Non sapevo nulla».
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