RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Fernando Proietti per Dagospia
Caro Roberto,
il saggio-testimonianza di Paolo Franchi “L’irregolare, Una vita di Gianni De Michelis” edito da Marsilio, ha il merito principale di rovesciare come un guanto l’assunto ahimè quanto mai attuale dello scrittore George Orwell già alla fine degli anni Quaranta: “Dalla “menzogna dei giornalisti, non v’era da attendersi che la menzogna degli storici”.
È quanto accaduto in Italia dal 1992 in poi nella narrazione della rivoluzione mediatica giudiziaria di Tangentopoli con l’”ideologia” di una Seconda repubblica mai nata tanto da far rimpiangere ben presto la Prima. “Uno sfregio per la democrazia”, per la politologa Nadia Urbinati, che insegna alla Columbia University. Il triste epilogo di una “rivoluzione” senza che l’autore idealizzi acriticamente il tempo “passato delle passioni” che ci eravamo lasciati alle spalle.
Dunque, un gran bel libro quello scritto dal giornalista (amico e collega) Paolo. Anche per ulteriori e notevoli ragioni. Intanto, Franchi non si accoda al gregge dei teorici della “rivoluzione italiana” che, per dirla con lo storico Eric J Hobsbawm, da oltre trent’anni “brucano ancora nei ricchi pascoli” arati da un potere giudiziario fuori controllo ben seminato sin dal 1991 dai comatosi giornaloni dei Poteri marci.
Anch’essi finiti bruciati in quel rogo dopo averlo appiccato, convinti di restarne indenni. E, con i Padroni del vapore, che andavano allegramente a braccetto con la partitocrazia, è andata in fumo un’intera classe dirigente, impossibile da rimpiazzare nei posti chiavi. Sia dentro che fuori le istituzioni pubbliche e private. Un’”auto da fé” in diretta tv sui canali Fininvest del leader politico in seguito il più inquisito al mondo, Silvio Berlusconi.
Già, chi di Casta ferisce, di casta perisce, verrebbe da aggiungere. Uno scontro tra magistratura, politica e società civile (ancora in corso) che, secondo Marcello Flores e Mimmo Franzinelli” (“Conflitto di poteri”, Il Saggiatore), ha cambiato la storia della nostra Repubblica e continua a “pesare sul futuro della nostra democrazia”.
“Miti, protagonisti e soubrette di un’Italia che declina”, già aveva messo nero su bianco in solitudine Giampiero Mughini nel suo raro libro su quella tragica stagione (4.525 persone arrestate, 25.400 avvisi di garanzia, oltre mille politici indagati, alcuni suicidi eccellenti) dal titolo “Un disastro chiamato seconda Repubblica” (Mondadori). Ben più esecrabili dei “nani e ballerine” evocate imprudentemente dal socialista Rino Formica. Tant’è.
Nel ripercorrere la vicenda umana e politica del dell’“irregolare”, Gianni De Michelis (1940-2019), con grande onestà intellettuale, l’autore mette a fuoco una stagione attraversata dal Psi (e dalle altre forze politiche) dagli anni Sessanta in avanti. E ben venga pure quel minimo di “partigianeria legittima” (ancora Hobsbawm), rispetto a quanto fin qui è stato narrato sull’”avanzo di balera” e il “fosforoso” di Enzo Biagi su una intera classe politica. La cui firma è apposta in calce al Trattato di Maastrich ai tempi responsabile della Farnesina.
Forse soltanto una dimenticanza? Oppure è arrivato il tempo anche di una “nostalgia riflessiva” sul passato se metà degli italiani non si reca più alle urne per la scomparsa dei partiti tradizionali? Se nelle edicole assistiamo alla scomparsa dei quotidiani (“Repubblica” e “Corriere della Sera” in testa) con tirature da numeri zero? Se la “capocrazia” al governo e fuori Palazzo in assenza dei partiti renderebbe inefficace un qualsiasi (ri)finanziamento pubblico. “Dalla metà degli anni Novanta i partiti politici si sono trasformati in liste personali (…) con un re attorniato da una corte, da una schiera di mille cortigiani”, rileva pungente il costituzionalista Michele Ainis
Gianni chi, allora cinque anni dopo la sua scomparsa? “Il miglior ministro degli Esteri di tutti i tempi”, a giudizio dell’insospettabile ex ambasciatore, Boris Biancheri. Per Fabiano Fabiani, ex numero uno di Finmeccanica, “Sia alla Farnesina che alle Partecipazioni statali, De Michelis ha svolto un ruolo a dir poco importante se non decisivo per le imprese pubbliche”.
peter secchia per gianni de michelis
Due imprenditori della levatura di Vittorio Merloni nel settore privato (Ariston), e nel pubblico, Lorenzo Necci, (Enimont-Ferrovie dello Stato) stimandolo per le sue competenze politiche e il suo tratto umano non l’hanno lasciato solo neppure negli anni bui di Tangentopoli. Un comportamento simile l’ha tenuto l’ex governatore della Banca d’Italia, l’insospettabile Mario Draghi.
Per restituire l’onore infangato di Gianni (e forse salvare il suo e quello dell’Avvocato), il capo della Fiat, Cesare Romiti, fece di più. Spedì il vicedirettore de “La Stampa”, Gad Lerner (tre paginoni), in un viaggio in Cina di Gianni con la seconda moglie, Stefania Tucci, dal titolo: “La riscossa di De Michelis in Cina”. È finità così la vicenda di Mani pulite nell’Italia del nonostante tutto.
gad lerner su gianni de michelis 4
“Non è un visionario, De Michelis. Magari, se si passa l’ossimoro, è un visionario realista. O, chissà, un realista che coltiva visioni suggerite proprio dallo studio di una realtà in vistosa trasformazione”, rileva Paolo Franchi. E l’”arco della sua vita”, e della sua generazione politica aggiunge l’autore (e per chi scrive), non poteva non essere segnata in profondità anche da un’esperienza collettiva comune. Una stagione in gran parte scandita da eventi storici straordinari (il Sessantotto, gli anni di Piombo, la caduta del Muro di Berlino) nella quale ci sentimmo coinvolti con le nostre idee.
“Appartengo a una generazione che potrebbe dirsi condannata alla politica, una condanna non voluta, spesso cercata con ansia”, confessa lo storico Ernesto Galli Della Loggia nel suo libro di memorie “credere, tradire, vivere” (Il Mulino).
Alla fine degli anni Ottanta, però, scopriremo quanto fosse diventato provvisorio per tutti il nostro Paese. E restammo un tantino orfani anche dei nostri sentimenti (e risentimenti) coltivati in familiarità.
Disse una volta Simone de Beauvoir “Non vorrei vivere in un mondo dal quale se ne fossero andati i miei migliori amici”. Ma tanti ne ha persi per strada Gianni De Michelis voltandogli le spalle. E con lui se n’è andata una intera classe politica e manageriale, non certo assolvibile in toto da Tangentopoli, spazzata via dal sistema mediatico-giudiziario. Non era la banda degli onesti, ma neppure una compagnia di “avanzi di balera”.
Ai ragionieri maldestri della “rivoluzione italiana” andrebbe chiesto conto sul prezzo che sta pagando ancora il Paese e l’Europa per aver rottamato nei tribunali un capitale umano di competenze, capacità professionali, relazioni acquisite attraverso l’esperienza e il lavoro dentro e fuori la Roma Santa e dannata dei Palazzi.
“Il successo dipende dalla capacità di una nazione di utilizzare la sua gente: se una quota significativa della popolazione viene trascurata,
qualunque nazione fallirà nel mondo moderno, per quanti macchinari possieda”, è l’ammonimento inascoltato lanciato dal premio Nobel per l’economia, Gary S. Becker.
Nell’Italia dei “poteri vili” (magistratura e giornali in primis), dunque, non c’è da stupirsi se al momento del suo lungo e silente addio il tempo dell’onestà, se non del merito, rovesciasse la clessidra della storia per restituire anche all’”irregolare” Gianni De Michelis l’onore perduto negli anni di Tangentopoli: da “avanzo di balera” a “statista”. Troppa grazia. E troppo tardi.
Bastava restituirgli la dignità (e indipendenza intellettuale eredita in famiglia prima che nel Psi), come ci ricorda Paolo Franchi. Qualità forse sciupate negli anni edonistici del post terrorismo. Tanto da far storcere il naso ai ben pensanti per la sua eccentricità nel condurre la sua vita mondana. Ma Gianni faceva parte delle creature eccessive e appassionate che per Jean Cocteau sono “le sole che valga la pena di conoscere”. E se amava il l’effimero la pensava alla maniera di Albert Einstein: “La prima necessità dell’uomo è il superfluo”.
Nel grigio appiattimento degli anni Settanta, il suo stile di vita già appare fuori dalle regole. E questo cambio di stagione, immaginando una nuova “belle époque”, lo coglie nella kermesse ballerina di “Villa Ada” a Roma. Evento voluto dall’assessore comunista Renato Nicolini, malvisto nel suo stesso partito. Assistiamo così a una generazione di sinistra che “passa di colpo dalla politica totalizzante all’Hully Gulli. Al tempo stesso facendo pace con il suo passato e scoprendosi fatta d’individui ciascuno con il proprio look…”.
Eppure, in pochi capirono quella brezza refrigerante di novità che soffiava nel Paese dopo gli anni di Piombo. Tra di essi c’eri anche tu, Roberto, “il vizioso cultore del trash” (Edmondo Berselli), con i tuoi tormentoni più dogmatici nel programma arboriano “Quelli della notte”: “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera e l’”edonismo reaganiano”. Tre anni prima della caduta del muro di Berlino (1989), il tenutario di questo disgraziato sito mandò alle stampe “Come vivere bene senza i comunisti”.
Battuto sul tempo soltanto da un altro “visionario”, Gianni De Michelis pervaso dal demone della frivolezza, che nel 1981 invitato dal politologo Giovanni Sartori a tenere una conferenza alla Columbia University, sceglieva il tema “Communism is dead”. “Per lui anche le forme dell’arte più avanzata dovevano mediare quelle della politica”, ha osservato la critica Laura Cherubini che aveva collaborato con il ministro alla prima mostra dell’arte povera al Guggenheim di New York.
Per non smentire la sua fama di fine dicitore “futurista”, a una convention al “Moma” nella Grande Mela da professore di chimica sostenne davanti a una platea autorevole che il vero problema della pittura era uno solo: “Come distruggere milioni di opere superflue collocate nei musei senza inquinare l’atmosfera”. E alla presentazione delle Nuove Edizioni del Gallo, chiamato a dire la sua su quel progetto editoriale se ne uscì con uno squillante “Chicchirichì”.
Ma al giovane ministro socialista, tra i pochi politici a cogliere quel salto sociale e generazionale, non vengono perdonati né i capelli lunghi unti (l’onto del signore per i veneziani) né, figuriamoci, quel suo sbarco in discoteca con tanto di libro-saggio, “Dove andiamo a ballare questa sera?”, edito dalla Mondadori ai tempi targata dal duo De Benedetti-Caracciolo. E non dal Cavalier nero Berlusconi come qualcuno sui media voleva lasciare intendere poi.
Con le croniste accorse a Riccione nel tempio-balera di Bibi Ballandi (a far numero anche le “Cacao meravigliano” dell’arboriano tv “Indietro tutta”), che sgomitavano per un posto a tavola alla cena di gala al “Paradiso” di Gianni Fabbri (da poco vedovo della figlia di Licio Gelli, morta in un incidente automobilistico).
Una sfida con tanto di colpi bassi, volavano “borsettate”, per attovagliarsi tra il finanziere Francesco Micheli e il ministro dello Spettacolo, Franco Carraro. Lì accompagnato dalla moglie Sandra, e da Andrea Manzella e signora, capo della segreteria di Ciriaco De Mita, neopresidente del Consiglio. Tutti con gli occhi puntati all’insù nell’attesa che dall’elicottero scendesse l’Ingegnere.
“Peccato che Carlo abbia mancato l’appuntamento, l’indomani mi avrebbe chiamato l’Avvocato per invitarmi a colazione a Torino”, si lasciò scappare vanesio Gianni godendo della rivalità tra Agnelli e De Benedetti. “Ciccio ballerino” incuriosiva anche Enrico Cuccia, che doveva trattare con il ministro delle Partecipazioni statali in carica la privatizzazione di Mediobanca. De Michelis era un interlocutore poco propenso a piegare la schiena di fronte ai voleri dello Gnomo di via Filodrammatici secondo la stessa testimonianza del suo delfino, Antonio Maccanico.
Insomma, di giorno il “nostro” Gianni faceva “ballare” pure i Poteri forti (Romiti, Gardini, De Benedetti, Schimberni…); boiardi di stato; banchieri e intellettuali come Umberto Eco e Furio Colombo che scendevano a Roma per promuovere i candidati a un posto di addetto culturale nelle più prestigiose ambasciate italiane. E furono tutti accontentati al meglio con la benedizione del capo del governo, Giulio Andreotti.
I nomi degli sponsor e dei beneficiati, però, non furono mai menzionati (meglio sbianchettati) nelle carte dei tribunali e nelle redazioni compiacenti quando al mitico portiere del “Plaza”, Luigino Esposito, scomparso da poco dopo aver superato indenne i 90 anni, venne sequestrata la corposa agenda telefonica e degli appuntamenti di Gianni, ben torchiato dai pubblici ministeri senza cavarne un ragno dal buco.
Gianni chi? Agli albori di Mani pulite si danno alla macchia cronisti, cortigiani e leccaculi che avrebbero barattato la propria reputazione, la carriera - e forse la moglie -, pur di partecipare alle feste in maschera a Palazzo Malipiero Barnabò (o alle riunioni dell’Aspen institute) - entrambe curate e animate dal “Falstaff venetienne” -, il ministro-Doge che andava a letto “a l’heure du lattier” (Le Monde).
Sì, proprio lui. L’”icona pop” della politica anni Ottanta che aveva incantato la stilista inglese Vivienne Westwood, che scendeva al “Plaza” per cucirgli addosso i suoi eccentrici abiti, e incantato l’étoile Rudolph Nureyev, che l’aveva ospitato nell’isola Li Galli sulla Costiera amalfitana, prima viene sfregiata e poi rimossa dai media dei Poteri marciti.
Ma quale icona, replicavano i suoi denigratori. Il De Michelis visionario, nel senso schilleriano della parola (consapevole cioè di provocare una frattura tra sé medesimo e il proprio ambiente), in realtà era soltanto il rappresentante di un “potere fantoccio o di cartapesta” (Ferdinando Adornato, traghettato dal Pci alla corte di Romiti munifico editore). Uno dei tanti “guitti” della Razza Cafona (Denis Pardo), che aveva governato, nel bene o nel male, il Paese.
asia terzani micheli e de michelis
I nuovi idoli della “Rivoluzione italiana” (copyright Eugenio Scalfari e Paoli Mieli) diventavano il giudice Antonio Di Pietro, che frequentava la peggiore cricca di socialisti milanesi e i giustizieri televisivi, Gianfranco Funari e Michele Santoro. Il manettaro Tonino che una volta abbandonata la toga andava a bussare, con il cappello in mano, alla porta del plurinquisito avvocato d’affari del Cavaliere, Cesare Previti, per un posto di ministro alla corte del governo Berlusconi.
Già, da Bandiera rossa al “Bandiera Gialla” il salto si rivelò mortale nel trapezio della politica. Ma De Michelis non si è mai curato dei pericoli di far convivere ragione&fantasia, pubblico&privato ben prima dell’arrivo dei social media. A chi gli rimproverava di rischiare il “ridicolo” per la sua condotta pubblica debordante il Gianni, ministro delle Partecipazioni statali, una volta rispose così:” Con tutto quello che perde Finsider niente è abbastanza ridicolo”.
La filosofa, Hanna Arendt, metteva in guardia sui rischi di essere “coperti di ridicolo” per quei politici che nella loro attività affrontano la complessa storia del conflitto, assai antico, tra verità e politica. E l’autrice di quel saggio aggiungeva “la semplificazione e la denuncia morale non sarebbero di alcun aiuto” a mettere fine alla disputa (infinita).
Ps: Cesare De Michelis, editore della Marsilio e fratello minore di Gianni, prima di morire ci ha lasciato uno straordinario libricino dal titolo “Cronache familiari” che meglio di qualsiasi saggio o necrologio forse può aiutarci a capire in quale ambiente culturale possa nascere la scintilla civile della passione politica a dispetto degli stessi dei genitori.
gianni de michelis foto marcellino raodgna
“A loro (Noemi e Turno ndr) – osservava il fratello Cesare - toccò poi di assistere al tracollo di Gianni, rimasero proprio senza parole (…) Il papà cercava conforto chiedendo conferma ai fratelli che il suo Gianni non era senza scampo, che aveva agito secondo coscienza, che, insomma, lui non doveva provare vergogna. La mamma -prosegue Cesare - si sfogava diversamente, si rivolgeva a lui, anche assente, continuando una predica ininterrotta (…) imprecando contro la sua leggerezza, mescolando passato e presente, pubblico e privato, in una geremiade sconsolata…”.
gianni de michelis discoteca paradiso
Fernando Proietti
gianni de michelis balla in discoteca 1gianni de michelis balla in discoteca 2gianni de michelis balla in discoteca 3gianni de michelis in pista
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