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Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
La scelta di utilizzare sofisticati strumenti tecnologici per combattere il terrorismo internazionale appare giusta e sensata. Soprattutto perché quel che è accaduto negli ultimi mesi dimostra quanto importante sia per l’Isis la propaganda effettuata attraverso Internet, quanto siano esperti nel maneggiare i social network e i siti jihadisti per fare proseliti, convincere i giovani a raggiungere la Siria e l’Iraq per addestrarsi e poi tornare in patria pronti ad entrare in azione.
E dunque sarebbe stato utile concedere alle forze di polizia — con un vaglio severo dei giudici — poteri ulteriori di prevenzione. La decisione del governo di ritirare l’emendamento presentato dal sottosegretario all’Interno Filippo Bubbico che introduceva questa novità ha però svelato ben altro.
È infatti apparso chiaro che il decreto antiterrorismo sarebbe stato usato come pretesto per aumentare i controlli sui cittadini e sulla loro attività online introducendo una nuova legge che nulla ha a che fare con l’emergenza legata alla minaccia fondamentalista. Avrebbe infatti reso possibile spiare i computer degli indagati per un lungo elenco di reati che comprende persino l’ingiuria.
E, come evidenziato dall’Autorità garante della privacy, avrebbe rappresentato un’intrusione eccessiva nella vita di ognuno di noi. «Ne riparleremo quando si discuterà il provvedimento sulle intercettazioni», hanno fatto sapere da Palazzo Chigi, lasciando così intravedere la volontà di percorrere questa strada, pur nella consapevolezza che quel disegno di legge è già materia di discordia e aggiungere altri elementi controversi inevitabilmente alimenterà lo scontro politico. Ma soprattutto rinunciando a una misura che, in alcuni casi particolari di pericolo, avrebbe potuto contribuire ad accrescere la sicurezza di fronte a una minaccia che — è inutile negarlo — incombe sul nostro Paese.
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