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Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"
Era il 7 gennaio di quest'anno, campagna elettorale, nello studio radiofonico di Rtl. Gli chiesero se era d'accordo con il riconoscimento dei diritti delle coppie gay e Silvio Berlusconi rispose di sì con un cenno della testa.
Ancora visibile sul web, quel gesto fece scalpore, e non solo perché interpretato come una specie di vendetta nei confronti della Chiesa, che aveva scaricato l'ex premier. Pochi mesi prima il Pdl aveva bloccato la legge sull'omofobia, e quindi quel muto assenso, enfatizzato dalla gran cuffia che il Cavaliere teneva sulle orecchie, fu vissuto come la sconfessione dell'intransigenza.
«Un'apertura epocale» la qualificò Alfonso Signorini, che ne approfittò per negare ogni forma di ostilità da parte di Berlusconi come persona nei confronti dell'omosessualità . Il direttore di Chi volle far sapere di averne parlato fino al punto da permettersi un amabile, malizioso incoraggiamento: «Non sai che gioia ti perdi».
Adesso non è esattamente una gioia, per il fondatore del Pdl, con le sentenze in arrivo e il partito diviso, compiere una scelta su una legge di cui si parla da anni, ma che non è mai arrivata in porto; ma per le stesse ragioni può forse anche rivelarsi un'opportunità , non solo politica. Un raro caso per far coincidere ciò che davvero lui pensa, per una volta, con ciò che ha un rilievo pubblico.
La tesi è che del Cavaliere si può pensare e dire di tutto. Che è un bugiardo, che è ipocrita, che dinanzi al potere, al consenso da strappare con ogni mezzo e ai suoi interessi economici non guarda in faccia nessuno. Allo stesso modo c'è qualche ragione di credere che su questo tema risponde a sensibilità e a schemi culturali, per così dire, patetici e vecchiotti.
Ha raccontato barzellette piuttosto feroci. Una, sulle sabbiature per i malati di aids, gli costò una delle prime reprimende di Veronica. Un'altra, invece, identificava nell'omosessualità il massimo della raffinatezza evoluzionistica («Quando voi stavate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci»). Gli capita di uscirsene con battute infelici tipo: «Meglio andare con le ragazze che essere gay», oppure «manca solo che mi accusino di essere gay».
Dinanzi a platee di cattolici, rispetto ai valori della famiglia, ai matrimoni omosessuali, alle adozioni, alle stesse unioni civili, è capace di sparate così ridondanti da suscitare dei sospetti d'insincerità . Solo una volta risultò particolarmente sgradevole, quando in un comizio parlando di Nichi Vendola Berlusconi ammiccò sull'orecchino toccandosi sprezzante il lobo dell'orecchio.
E tuttavia omofobo, nel senso più cupo e discriminatorio del termine, è davvero difficile considerarlo. Viene del resto dal mondo dei consumi e dello spettacolo. Diversi suoi stretti e strettissimi collaboratori sono gay - per quanto sospetti o legittimamente velati. Ha spiegato un giorno l'Ape Regina che Berlusconi «adora i gay perché hanno una marcia in più».
Poi, come le succede spesso per ragioni che qui è vano approfondire, la Began ha continuato lasciando intravedere un quadretto piuttosto irreale: «L'ho visto spesso con i miei amici con cui parla prendendoli per mano e loro si emozionano... «Ecco, questo pare strano. E' semmai indifferente, al riguardo, o antiquato, o elementare, o addirittura ambiguo, per certi versi. Per esempio, si direbbe che distingue tra omosessualità maschile e femminile.
Quest'ultima, come si è ampiamente compreso, fin troppo lo attrae: e l'averla agognata, ospitata, messa in scena e profumatamente pagata non gli ha fatto bene per niente.
E se pure sarebbe bello poter scrivere dei politici solo per i loro atti pubblici, senza cioè rincorrerli nelle alcove grazie a intercettazioni scabrose e testimonianze piccanti, è anche vero che nell'epopea berlusconiana ci si è spesso imbattuti in rivelazioni scherzose, ma d'inusitata intimità , per cui l'allora premier, interrotto da un fan che gli urlava «Silvio, sei bello!», nell'assegnare a ciascun cittadino una certa quota di omosessualità , comunicò alla pubblica opinione che il suo 25 per cento era di natura lesbica - il che serviva a confermare il suo trasporto per il genere femminile, anche si può riconoscere che il messaggio procedeva su un sentiero piuttosto scivoloso.
Senza che se ne possano trarre improprie conclusioni esiste invero una vasta letteratura (Gundle, Cordelli, Belpoliti, Amadori) secondo cui il successo del Cavaliere dipende anche dal suo lato femminile. Per non complicare il già complicato ci si astiene dall'approfondire eventuali ricadute del mito dell'androgino in politica.
Ma vale forse la pena di riportare una sintomatica ammissione: «Per fortuna nessun gay è mai venuto a farmi una proposta, perché siccome non so dire di no, alla terza volta avrei chiesto spiegazioni tecniche e ci sarei stato». Ora, non si arriva a tanto, ma per un sì a questa benedetta legge non è mai troppo tardi.
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