LA SITCOM ANTI-RENZI DEL BANANA A “PORTA A PORTA” È SOLO UN PETARDINO PER TORNARE AL CENTRO DELLA SCENA - BERLUSCONI HA DETTO AI SUOI CHE DIRÀ DI SÌ AL PD SOLO QUANDO LA CORDA STARÀ PER SPEZZARSI

Ugo Magri per "la Stampa"

Berlusconi è parecchio soddisfatto di sé. Voleva far sapere all'Italia che lui c'è ancora, non l'hanno parcheggiato tra gli anziani di Cesano Boscone, e dunque lo «strappo» del «Porta a Porta» ha ottenuto pienamente il suo scopo: ieri tutti i titoli erano per lui, tornato al centro del ring con un colpo sotto la cintura di Renzi (così lo giudicano dalle parti del premier). L'ha dipinto come un «simpatico tassatore» e, soprattutto, gli ha bloccato il progetto di riforme della Costituzione. Insomma: l'«ego» del Cavaliere, nella ricorrenza della Liberazione, risultava appagato.

Resta il punto interrogativo, che in primis è di Renzi ma poi ci riguarda tutti: che ne sarà della legge elettorale, del nuovo Senato e del futuro Titolo V, che dovrebbe mettere ordine nel pasticcio di competenze tra Stato e Regioni? Forza Italia se ne farà carico, oppure siamo già ai titoli di coda dell'ennesimo patto infruttuoso tra Berlusconi e la sinistra? Alle ore 20 di ieri sera, il consigliere politico Toti ha fatto intendere via «Tg5» che nulla è precluso, anzi dipende tutto da Renzi.

Perché è il Pd, nella versione berlusconiana, che cambia continuamente le carte in tavola e rende a Forza Italia la vita impossibile... Messa in questi termini, sembrerebbe quasi un puzzle di facile soluzione: sarebbe sufficiente che sulla materia più controversa, vale a dire la riforma del Senato, il premier prestasse finalmente orecchio alle richieste berlusconiane. E smussasse certi spigoli del progetto Boschi, mai presentato del resto come un vangelo.

Anzi, i mediatori sono già all'opera, manco a dirlo nelle persone dei soliti Verdini e Guerini, il primo per conto di Forza Italia, l'altro del Pd. Pochi giorni fa s'erano visti, e avevano in gran segreto concordato certe modifiche al testo governativo, tutte quante finalizzate a mettere il Cavaliere a proprio agio. E dunque: meno sindaci nel futuro Senato delle autonomie (quelli delle aree metropolitane); più consiglieri regionali, con una ripartizione territoriale meglio proporzionata tra Regioni grandi e piccine; cinque senatori indicati dal Capo dello Stato, anziché 21.

Sempre per venire incontro a Berlusconi, i due negoziatori avevano messo a fuoco un altro punto controverso: il ruolo del Senato nell'elezioni dei massimi organi costituzionali. In modo da fornire garanzie che chi vince le elezioni, comunque, non piglia tutto. E di tale lavorio dietro le quinte Berlusconi era stato costantemente informato, figurarsi se il fido Verdini gli avrebbe mai nascosto qualcosa. Ciò nonostante, il Cav è andato da Vespa con un tono dell'umore che definire negativo sarebbe poco. Dunque, palesemente, non è semplice questione di ritocchi, tolgo una virgola qua e ne aggiungo una là. Dev'esserci dell'altro dietro il cambio repentino di umore.

La risposta più vera che si ricava da quelle parti ha molto a che vedere con il braccio di ferro tra le due anime del partito berlusconiano. Dove i mediatori pro-Renzi, Verdini in testa, si scontrano con lo scetticismo di Brunetta, e una volta prevalgono i primi, in altre fasi la spunta il capogruppo. Che considera l'intero impianto riformatore, messo in piedi da Renzi e da Verdini, come «una mappazza immangiabile», un caotico impianto senza pesi e contrappesi, per effetto del quale chi vincesse le elezioni anche solo di uno zero virgola, diventerebbe poi il padrone d'Italia. Di questi argomenti, l'altro ieri Berlusconi si era innamorato. Ieri, più dialogante, la metteva così: «Daremo il via libera solo quando la corda sarà sul punto di spezzarsi, e non prima».

 

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