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Marcello Sorgi per "la Stampa"
Colazione con i presidenti delle Camere, pomeriggio con il Capo dello Stato: al ritorno da Bruxelles e alla vigilia del suo incontro con Merkel e Sarkozy oggi a Strasburgo, Monti sembra preoccupato di assicurarsi il massimo di collaborazione istituzionale e garantirsi un iter spedito dei provvedimenti che si accinge a presentare in Parlamento. Sia Fini che Schifani si sono impegnati in questo senso.
Ma al di là della corsia preferenziale che le misure anticrisi del governo dovrebbero trovare alla Camera e al Senato, è il contenuto degli interventi che deve ancora essere messo alla prova del consenso dei partiti che hanno votato la fiducia a Monti. Dai quali partiti, giorno dopo giorno, arrivano segnali di fibrillazione preoccupanti. Ad esempio, non si farà il vertice a tre - Alfano, Bersani, Casini - che doveva servire a stabilire un accordo di massima almeno sull'agenda dei lavori.
Il presidente del Consiglio incontrerà separatamente i leader della sua maggioranza, nel tentativo di definire rapidamente il da farsi. Il più presto possibile: questo è infatti l'imperativo che viene dall' Europa e che scandisce queste giornate in cui la febbre dei mercati non accenna a placarsi. Ieri anche per la Germania c'è stata una brutta sorpresa: l'asta dei titoli pubblici, i temutissimi «bund», è andata quasi deserta.
Nessuno è in grado di prevedere con qualche margine di certezza come potrebbe influire nei prossimi giorni un evento del genere nell'atteggiamento della Merkel, che oggi Monti avrà modo di verificare personalmente. Ma le difficoltà di stabilire una strategia comune contro la crisi a livello europeo, in quest'ambito, sono destinate a crescere, e lo scetticismo dei partiti italiani altrettanto.
Non a caso il Pdl ha minacciato di far cadere il governo, in conseguenza dell'iniziativa del Pd, dopo la sollecitazione di Napolitano, favorevole a dare la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Nelle stesse ore si apriva nel Pd il cosiddetto «caso Fassina», dal nome del responsabile economico di cui sono state chieste le dimissioni da alcuni esponenti dell'area liberal del partito, perché più volte nei giorni scorsi aveva preso posizione contro le misure annunciate da Monti in Parlamento.
Bersani ha cercato di difenderlo anche per non dare per scontato un sostegno senza negoziato a Monti. Così sta diventando chiaro che per il presidente del Consiglio la strada del governo si presenta in salita anche più di quanto si poteva prevedere. Anche perché le tentazioni elettorali nei partiti sono tutt'altro che sopite.
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