1. IL TEATRO ARGENTINA TRASFORMATO IN LUXOR COL FARAONE RAMSETE SCALFARI CHE SI FA MUMMIFICARE TRA SQUILLI DI TROMBA E OSCARIZZARE TRA BENIGNI E SORRENTINO 2. GLI SPUNTI MIGLIORI LI OFFRE IL FONDATORE STESSO, QUANDO SALE SUL PALCO E LEGGE CINQUE SUE POESIE. “A ME È VENUTA LA PASSIONE DA QUALCHE TEMPO DI VERSIFICARE LA MIA PROSA POETICA”, CONFESSA UN PO’ A SORPRESA IL NOVELLO PASCOLI 3. EU-GENIO SDRAMMATIZZA L’INSOLITA LETTURA CON BATTUTE AUTOIRONICHE E DOPO VENTI MINUTI IN VERSIONE VATE PASSA ALLA SUA SPECIALITÀ: IL RACCONTO DI ANEDDOTI. CHE IN QUESTO CASO SONO FRESCHISSIMI. TRE SQUILLI DI AUGURI: RE GIORGIO, RENZI E IL PAPA 4. IN BARBA AL BERLUSCONINO RENZI, SCALFARI OMAGGIA I SUOI OSPITI POLITICI: "CI SONO ANCORA PERSONE CHE SERVONO QUESTO PAESE, E SONO WALTER VELTRONI ED ENRICO LETTA"

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Francesco Bonazzi per Dagospia

Le foto in bianco e nero tra Enrico Berlinguer e la breve sbandata di una stagione, Ciriaco De Mita. Lo scatto in redazione dietro a Carlo Caracciolo, bellissimo. In campagna con i cani, davanti ad alberi spogli e con lo sguardo fiero. "Scalfari univa..." Bruno Manfellotto, napoletano non scaramantico e ultimo direttore dell'Espresso, sale sul palco del teatro Argentina davanti alle immagini che scorrono sul maxi-schermo e inizia così il racconto dello straordinario viaggio del fondatore di Repubblica.

Eugenio Scalfari domenica ha compiuto novant'anni con una festa nella sua villa di Velletri e ieri sera ha avuto lo straordinario e meritato privilegio di poter assistere in vita alla propria commemorazione, seduto in prima fila, ma di lato.

Al centro, troneggia il Sor-genio De Benedetti tra due aspiranti riserve della Repubblica come Enrico Letta e Walter Weltroni. Scalfari, dal palco, dedica loro il seguente pensiero: "Ci sono ancora persone che servono questo Paese, e sono Walter Veltroni ed Enrico Letta", tra gli applausi scroscianti del teatro. Non manca neppure Gelatina Saccomanni, mentre Roberto Benigni stringe mani un po' a casaccio in tutte le prime file e Silvio Orlando declama brani scelti dell'Autore.

Al di là di una buona dose retorica, difficilmente evitabile in occasioni del genere, gli spunti migliori li offre Scalfari stesso, quando sale sul palco e legge cinque sue poesie. "A me è venuta la passione da qualche tempo di versificare la mia prosa poetica", confessa un po' a sorpresa.

Poi tira fuori una manciata di fogli, che tiene nelle mani con un tremore che fruscia nel microfono ed è ancora più commovente, e comincia a leggere. Sono versi lineari, non ermetici come ci si aspetterebbe dall'uomo, dove si parla di amore, di morte, di angeli, di sensi, di desideri, di potere e perfino di cupidigia.

Il Fondatore sdrammatizza l'insolita lettura con battute autoironiche e dopo venti minuti in versione vate passa alla sua specialità: il racconto di aneddoti. Che in questo caso sono freschissimi.

"Ieri, tra le tante telefonate che ho ricevuto, ne sono arrivate tre assai singolari", attacca Scalfari, mentre centinaia di discepoli e giornalisti ammutoliscono sentendo aria di grandi rivelazioni. "La prima, verso mezzogiorno, era di Renzi". Alla parola "Renzi" l'intero teatro già scoppia a ridere.

Lui va avanti implacabile e riferisce la conversazione con il giovane premier: "Ieri era uscita la mia consueta predica domenicale piena di bastonate. Lui mi dice che ha letto l'articolo e non sapeva più se farmi gli auguri, ma poi ha deciso di farmeli lo stesso. Al che mi domanda: ‘Ma lei vuole preparare l'alternativa a me?''. Io gli ho risposto che noi, in attesa di un'alternativa che non si vede, intanto votiamo Renzi. E allora lui mi dice: ‘Lei mi bastona con molta civiltà, ma se io diventerò l'alternativa a me stesso, lei continuerà a votarmi?'. E' un ragazzo sveglio, non c'è dubbio. E gli ho detto: ‘Lei è così perché il suo carattere è quello del seduttore, ma è difficile cambiare carattere".

Il primo direttore di Repubblica finge anche di spifferare il contenuto della telefonata di Giorgio Napolitano, che avrebbe voluto venire all'Argentina. "Con lui non parlo da giornalista", ammette il Fondatore, "'perché siamo amici. L'ho convinto a non venire oggi perché mi avrebbe dato imbarazzo vederlo qui per oltre due ore, lui che è il capo dello Stato. Poi ci sono cose che non vi dico perché riguardano solo noi due". Non vola una mosca. Figuriamoci una qualche insistente domanda. Se è no è no. L'ha detto il Fondatore.

E infine l'immancabile Bergoglio, il papa con il telefono facile. S'è fatto vivo anche lui con Eu-genio, la sera di domenica. "Mi ha fatto gli auguri. Ci sentiamo ogni tanto. Il Papa con me vuol parlare come si parla a un credente che però ama Gesù come figlio di Giuseppe e Maria e discendente della famiglia di Davide", spiega lo ieratico Scalfari, evitando riferimenti genealogici al suo noto collega che chiamiamo "Dio". Finisce così, tra gli applausi per Eugenio e Francesco.

A inizio serata, il primo a salire sul palco era stato un Carlo De Benedetti un po' ansimante, fasciato nel consueto doppiopetto da vecchio capitano d'azienda. Il Sor-genio ricorda quella volta - era il 1975 - che "Eugenio venne a chiedermi dei soldi per Repubblica". Lo fa con le migliori intenzioni, per sottolineare che Scalfari non e' stato solo un grande giornalista e un grande inventore, ma anche un grande imprenditore". Poi un "grande grazie e un grande abbraccio, caro Eugenio". Tutto grande, ma giustificato.

Iniziano quindi le letture di brani scelti dell'autobiografia del Fondatore, affidate a Silvio Orlando e agli amici. E lui sempre fermo e immobile come un mosaico, ad ascoltarsi rivivere tra velluti rossi e stucchi dorati. Si alzerà solo per abbracciare Ezio Mauro, del quale confessa di sentirsi, a fasi alterne, "fratello maggiore, padre e figlio". Poi si risiede ancora un po' ad ascoltare l'amico Asor Rosa, in attesa di sorprendere tutti con l'avvio della sua prossima stagione: quella da poeta.

 

 

SCALFARI SPEGNE LE CANDELINE SCALFARI DE BENEDETTI SCALFARI ROBERTO BENIGNI E NICOLETTA BRASCHI DE BENEDETTI VELTRONI ANNUNZIATA SCALFARI E MANFELLOTTO