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UN UOMO CHIAMATO SLOGAN - CARLO CALENDA PROVA A DIVENTARE IL “MACRON ITALIANO”: SCIPPA GLI INDUSTRIALI A RENZI, BOCCIA IL PROPORZIONALE DEL CAV E NON VUOLE IL VOTO ANTICIPATO (GLI SERVE TEMPO PER CREARE UN MOVIMENTO?) – ALL’ASSEMBLEA DI CONFINDUSTRIA IL MINISTRO SCENDE IN CAMPO. TANTI L’APPREZZANO, POCHI PRONTI A VOTARLO…
1. IL MANIFESTO DI CARLETTO NON PIACE AL RENZIANO BOCCIA
Valentina Conte per la Repubblica
calenda assemblea confindustria 2017
Attacco ai populisti. Richiamo alla stabilità. Appello alla nuova stagione della coesione. Tifo per un voto a scadenza naturale. E non con il proporzionale. All' assemblea annuale di Confindustria va in scena uno spettacolo imprevisto. Da una parte, il manifesto di Carlo Calenda, il manager prestato alla politica. Dall' altra, la sponda del presidente degli industriali Vincenzo "Enzo" Boccia, come lo chiama Calenda. In mezzo il tifo quasi da stadio di una platea di rado così calda. E gli auspici di aver trovato il Macron italiano.
L' intervento del ministro è netto. Tale da prendere non solo gli applausi, ma anche la scena a Boccia, più felpato. Durissimo con gli «europeisti a giorni alterni». Smettiamo, dice, «di accarezzare l' antieuropeismo invece di combatterlo a viso aperto ». Chi si opponeva al referendum del 4 dicembre prospettava altre soluzioni ai problemi: «Non si è vista l' ombra di una proposta ». E quelle in giro - reddito di cittadinanza e nazionalizzazioni - le bolla come «stravaganti ». Lotta senza quartiere ai populisti, dunque. E «liberismo pragmatico», non ideologico, da contrapporgli. Significa difendere Alitalia o le aziende italiane, se lo meritano.
Ma cercando di «spendere meno soldi dei contribuenti possibile». No al protezionismo, dunque. Sì al fronte comune europeo. Mea culpa per aver venduto innovazione e globalizzazione «come cene di gala». Scatenando così la «paura» che poi si muta in «rifiuto della modernità» e «fuga dalla realtà». Conferma gli sgravi, promette di renderli strutturali. Ma sulle elezioni, «bisogna arrivarci nei tempi giusti», scandisce. Dopo aver «completato la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e con una legge elettorale che dia la ragionevole probabilità della formazione di un governo».
Eccolo il manifesto di Calenda: proseguire l' agenda delle riforme. «Non mi paiono opinioni inopportune», quasi si giustifica. «E non penso che per esprimerle occorra prendere una tessera di partito ». La rivincita del «tecnico» che non teme di «mettere in campo progetti lunghi».
Plaude Boccia. Il suo intervento dura 50 minuti. Usa una sola volta la parola mercati e per ben dodici volte l' aggettivo sociale. Per connotare non solo la coesione e la tenuta a rischio, ma il tessuto sfilacciato, la frattura da ricomporre, il modello da perseguire, la spesa da ripensare. Un richiamo insistito, inedito a queste latitudini. Quasi centrista. «Mettere al centro la persona», ripete.
luca cordero di montezemolo (2)
«Nessuno deve restare escluso». Propone a sindacati, governo e banche un "Patto di scopo per la crescita", «non spartitorio, dove ciascuno chiede qualcosa per la categoria, ma il suo esatto contrario, dove ciascuno cede qualcosa per il bene comune ». Una svolta per la lobby più forte del Paese.
Ringrazia il governo per gli incentivi incassati, tanti: Jobs Act e Industria 4.0, iper e super ammortamento, credito di imposta per la ricerca, legge Sabatini. Accenna critiche (sfumate) allo split payment sull' Iva e al nuovo codice degli appalti. Chiede la conferma degli sgravi, la decontribuzione triennale per l' assunzione dei giovani. Solo di passaggio, cita privatizzazioni e liberalizzazioni. Il nemico è altrove, è nei «vent' anni perduti». E nelle «ricette fantasiose e di facile consenso » di «chi si inventa leader senza nemmeno avere il senso della storia». Per questo «non abbiamo mai nascosto la nostra vocazione al maggioritario». Assist perfetto per Calenda.
2. IL SI’ DI CONFALONIERI, LA SFIDA A RENZI
Roberto Mania per la Repubblica
«Complimenti! Abbiamo il nostro Macron», ci tiene Fedele Confalonieri a congratularsi con Carlo Calenda. Il quarantaquattrenne ministro tecnico dello Sviluppo economico ha appena concluso il suo applauditissimo intervento all' assemblea della Confindustria. Scende veloce i gradini che dalla sala Sinopoli dell' Auditorium di Renzo Piano portano in cortile dove può accendere (finalmente) la sigaretta. Arriva il presidente di Mediaset, poi Emma Marcegaglia: «Bravo, è la tua autocandidatura ». Si schermisce, Calenda, dice ad entrambi: «Torno a fare il manager». «Di passaggi in politica ne ho già visti», chiosa, con sorriso ammiccante, Confalonieri. Ecco, appunto.
CARLO CALENDA A CAPALBIO - foto Enzo Russo
Perché quella di ieri di Calenda non sarà esattamente una discesa in campo - almeno del tipo che Confalonieri ben conosce - ma è qualcosa che ci assomiglia. Semplificando: c' è un leader, ma non un partito. Non questione irrilevante, sia chiaro. Sempre che non si voglia considerare un partito la Confindustria (un tempo, forse, "il partito dei padroni") tentata dalla standing ovation al termine del discorso del ministro tecnico. Platea freddina nei confronti del proprio presidente, Vincenzo Boccia, decisamente schierata, calda, invece, con Calenda. Con qualcuno che alla fine ha deciso di lasciarsi andare e rompere il protocollo delle grisaglie confindustriali: «Carlo! Carlo!». Viva il leader, insomma.
E dunque qualcosa è accaduto. Politicamente parlando, si intende. Calenda ha preparato meticolosamente il suo intervento, ha scelto di spaziare dalle riforme costituzionali ai vaccini, dalle elezioni alle politiche energetiche, dalla crisi delle banche ai migranti fino alla Rai "in mano ai partiti", per passare dalla globalizzazione alla teorizzazione del "liberismo pragmatico". Come fosse il presidente del Consiglio e non il ministro dello Sviluppo.
Come fosse il capo di un partito o un candidato alla presidenza del Consiglio. Già, ma con chi? A meno di avventurarsi nella fantapolitica, dietro le truppe non si vedono. Meglio: non ci sono. Come per primo sa proprio Calenda che ai tempi di Scelta civica, che assorbì la montezemoliana Italia Futura, non riuscì nemmeno ad essere eletto in Parlamento.
Ieri - comunque - ha lanciato pubblicamente la sua sfida a Matteo Renzi, rivendicando innanzitutto il diritto dei tecnici (con Pier Carlo Padoan gongolante in prima fila ad applaudire) di occuparsi di politica. Certo, giocava in casa (viene dalla Confindustria e usa il linguaggio degli imprenditori) ma parlava chiaramente ad una platea più ampia. Ha voluto dire a una parte della classe dirigente (la stessa che scelse Renzi e ora non nasconde di esserne stata delusa) di essere in campo. Non di più, per ora. Calenda sa di non avere il tempo - se anche lo volesse - di organizzare un movimento.
Prevedibilmente le elezioni arriveranno in autunno. In pochi mesi non si organizza nulla. Diverso se la legislatura arrivasse fino alla fine con il voto nel 2018. Forse questo è il suo vero obiettivo, che però non rivela. Per quanto ieri abbia parlato del pericolo dell' esercizio provvisorio del bilancio se si anticipassero le elezioni e del rischio che si scateni di nuovo la speculazione finanziaria contro il nostro Paese tanto più che la ricapitalizzazione delle banche disastrate non è ancora andata in porto.
Serve tempo, a Calenda, per fare il Macron d' Italia. Anche se - ha più volte spiegato ai suoi collaboratori - è il sistema elettorale maggioritario francese che ha permesso all' ex banchiere di prevalere contro il nazional-populismo di Le Pen. Da noi si va verso il proporzionale e lo scenario è molto diverso. Perché se anche entrassimo in una "stagione spagnola" con elezioni senza vincitori e si prefigurasse alla fine la necessità di una grande coalizione destra- sinistra Calenda non avrebbe mai l' assenso di Renzi.
carlo calenda nel film cuore del nonno luigi comencini
Potrebbe avere quello di Berlusconi, che, infatti, non ha mai nascosto di apprezzarlo, e non solo per la sua opposizione alla scalata di Vivendi su Mediaset. Ma i patti si fanno sempre in due. E quindi il frutto del Nazareno bis non potrà mai essere Calenda a Palazzo Chigi. Dove forse non potrebbe neanche arrivare come leader di un governo tecnico (in mancanza ancora di maggioranze) perché pure in questo caso servono i voti dei parlamentari. E senza i voti è difficile fare il leader.
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