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Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
Forte disappunto, ma anche la volontà di non reagire in modo drastico e affrettato in attesa di conoscere il dispositivo della sentenza che verrà reso noto nei prossimi 60 giorni e di «vedere cosa farà il governo italiano subito dopo».
Il day after della condanna definitiva di 23 cittadini americani - quasi tutti agenti o ex agenti della Cia - per il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar è segnato dal no comment del Dipartimento di Stato: «Non abbiamo ricevuto gli elementi necessari per poter formulare una nostra reazione».
Ma dall'interno dell'Amministrazione Obama trapelano gli echi preoccupati e la profonda irritazione per un caso che rischia di diventare un'ombra negli eccellenti rapporti tra Italia e Stati Uniti.
Una vicenda segnata da errori e omissioni che risale al 2003. Tornando alla ribalta proprio ora col pronunciamento definitivo della Cassazione, il caso Omar può creare qualche imbarazzo a un presidente degli Stati Uniti che, a poche settimane dal voto per la Casa Bianca, non può tacere troppo a lungo su una condanna che negli Usa viene percepita come un attacco ai propri servizi di sicurezza impegnati in una lotta contro il terrorismo internazionale condotta nell'interesse di tutti.
Di certo non c'è da aspettarsi che Washington consegni all'Italia i suoi agenti condannati, anche perché, secondo gli americani, quell'operazione di redemption (trasferimento forzato di un detenuto) fu compiuta con il consenso delle autorità italiane. Ma si vorrebbero evitare le frizioni che inevitabilmente emergeranno in caso di inoltro ufficiale di una richiesta di estradizione da parte di uno stretto alleato come l'Italia.
A Washington si spera ancora di disinnescare il caso: in questo momento prevale la preoccupazione di evitare reazioni accese, tanto più che i fatti risalgono a diversi anni fa. I governanti attuali, Barack Obama e Mario Monti, non ne portano alcuna responsabilità e hanno tutto l'interesse a chiudere il caso, evitando contraccolpi. Probabilmente i due leader - i cui eccellenti rapporti personali sono ben noti - proveranno a chiarirsi le idee lunedì sera, quando si incontreranno brevemente a New York durante il ricevimento offerto dal presidente americano alla vigilia del suo intervento all'Assemblea generale dell'Onu.
Negli ambienti dell'Amministrazione Usa si torna a ragionare di un eventuale ricorso allo strumento dell'immunità diplomatica o ad altri meccanismi giurisprudenziali. Una possibilità , ad esempio, è che, una volta ricevuta dal Tribunale di Milano tutta la documentazione relativa al caso, il ministro della Giustizia invochi la clausola politica che, in casi nei quali è in ballo l'interesse nazionale, consente al governo di rinviare l'inoltro di una richiesta di estradizione disposta dalla magistratura.
In ogni caso una vicenda assai delicata perché, come notava ieri il Washington Post, per la prima volta il governo Usa vede rimessi in discussione i suoi convincimenti circa la praticabilità del ricorso all'immunità diplomatica in casi che coinvolgono l'attività dei servizi segreti.
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