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Francesco Semprini per “la Stampa”
WALL STREET BORSA NEW YORK STOCK EXCHANGE
La campanella di inizio contrattazioni suona a festa a Wall Street, dove già nel pre-mercato gli indici segnano rialzi decisi. La Borsa americana conferma la sua simpatia per i repubblicani, e malgrado i volumi di scambi e, alla fine, guadagni contenuti, al Nyse si percepisce un diffuso senso di soddisfazione. «È la testimonianza di come l’America si senta in questo momento, di come percepisca la situazione economica, la leadership, i passati sei anni e se stessa».
A parlare è Kenneth Polcari, di O’Neil Securities, un veterano di Wall Street. Gli indicatori macro ci raccontano un’America in salute, allora perché questo ribaltone? «I progressi compiuti hanno giovato alla finanza e alle grandi corporation, ma non a Main Street, alle piccole medie imprese e ai cittadini comuni».
Il messaggio è chiaro: «Gli americani sono stanchi dell’incapacità di Congresso e Casa Bianca di fare qualcosa di sostanziale per la gente, la classe media sta messa peggio di sei anni fa, il livello di salari e stipendi è stagnante, c’è un senso di disgusto e ciò spiega questa mobilitazione della base».
Ed ora cosa dobbiamo aspettarci? «La storia insegna che tutte le volte che ci sono un Congresso repubblicano e un Presidente democratico si registrano rally dei listini tra il 12 e il 15% nei sei mesi successivi al voto», prosegue Polcari, indicando in finanza, tecnologia ed energia i settori con maggiori potenzialità di crescita. Sulla stessa linea è Arthur D. Cashin, numero uno di Ubs e grande vecchio del Nyse, «colui che tutto ha visto e che tutto sa».
«Dopo il Midterm di solito andiamo alti - dice - poi c’è un altro aspetto, l’anno prossimo è il 2015 e gli anni che terminano in cinque sono sovente quelli del Toro». Cashin vede nel comparto Difesa il grande avvantaggiato del voto di martedì: «Boeing e Lockheed Martin saranno i primi a beneficiare del probabile aumento delle spese militari dei repubblicani». Ci sono però dei punti d’ombra per il guru di Ubs, ad esempio «il rischio di pressioni di alcuni repubblicani, come Rand Paul, sulla Fed di Janet Yellen, per un aumento più veloce dei tassi di interesse, o la tentazione di ritorsioni, «come inchieste sull’operato del Fisco, o ad esempio su quanto accaduto a Bengasi, mosse che acuirebbero le tensioni».
Insomma molto dipende dalla voglia di cooperare, perché non è detto che un Congresso repubblicano e una Casa Bianca democratica portino allo stallo. «Il punto è l’attitudine - sottolinea Polcari -. Obama è negli ultimi due anni di mandato, e non penso che voglia andarsene con la reputazione di ostruzionista ideologico, specie per uno come lui che ha fatto la storia, penso che sarà piuttosto conciliatore».
Anche Cashin esorcizza lo scenario della paralisi, e torna indietro di venti anni: «Con Bill Clinton presidente, e una Camera e un Senato blindantissimi dai repubblicani, il Paese ha conosciuto uno dei periodi più prosperi della storia: oggi come allora è tutta questione di triangolazioni».
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