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Mattia B. Bagnoli per La Stampa
Il caro vecchio palazzo di Westminster non ce la fa più, la democrazia lo ha sfinito. à d'altra parte dagli Anni 40 che manca un serio intervento di manutenzione e nel mentre s'è tirato avanti con un rattoppo qui, un rabbercio là . Ma i gabinetti perdono, nell'ufficio del ministro dell'Interno Theresa May sono apparse delle sgradevoli macchie e più di un onorevole ha avvistato bei topi pasciuti bighellonare tra i quasi cinque chilometri di augusti corridoi.
Insomma, viva la tradizione ma quando è troppo è troppo, urgono interventi radicali. L'argomento è però spinoso: non è facile spiegare ai contribuenti che servono sterline a palate per rifare il trucco alla madre di tutti i Parlamenti quando il Parlamento vota tagli draconiani un giorno sì e l'altro pure...
E dunque largo a una bella commissione, presieduta naturalmente dallo speaker dei Comuni John Bercow. Entro il 2013 si dovrà prendere una decisione così che i lavori possano partire nel 2015, in tempo per la nuova legislatura. I piani sono molteplici, non escludono nulla, nemmeno vendere baracca e burattini ai cinesi. Le caldaie risalgono infatti a prima della Seconda guerra mondiale e pare minaccino di saltare in aria da un momento all'altro.
Come se non bastasse, il palazzo è pieno di amianto. E sta lentamente scivolando nel Tamigi, Big Ben compreso (la celebre torre dell'orologio si sta già inclinando). Lo scorso gennaio il piano di salvataggio prevedeva un intervento da un miliardo di sterline. «I contabili - disse una fonte parlamentare al Mail on Sunday - fanno notare che è illogico spendere un miliardo di sterline per un complesso che vale un miliardo. L'amara scelta è dunque spendere questi soldi e fare la figura degli stravaganti o abbandonare uno dei palazzi più famosi al mondo e venderlo ai russi o ai cinesi».
Provocazione d'inverno, fole da commissione? No, una delle opzioni messe nero su bianco dai deputati contempla davvero l'idea di costruire un Parlamento nuovo - sul modello scozzese e sbarazzarsi di quello vecchio. A conti fatti l'erario ci guadagnerebbe 500 milioni di sterline. Difficile però vedere un primo ministro di sua maestà apporre la firma - nome e cognome - all'atto che trasforma Westminster in uno Sheraton.
Non a caso l'ultima indiscrezione vede in testa l'ipotesi di chiudere tutto per cinque anni, trasferire deputati e lord altrove, e «rigirare» l'edificio come un calzino. Costo? Tre miliardi di sterline. La tradizione ha un prezzo e poi ci sono gli impianti elettrici e idraulici da rifare.
«Westminster sta crollando», ha detto una gola profonda al Sunday Times. «Dobbiamo fermare i lavori e far entrare gli operai. L'alternativa è spendere 10 miliardi di sterline nell'arco di 20 o 30 anni nelle pause estive». L'atmosfera nel Paese non è però delle migliori e anche i britannici hanno il dente avvelenato coi politici, specie dopo lo scandalo dei rimborsi impropri o gonfiati.
L'avversione per la casta non è dunque un fenomeno solo italico tanto che sul sito del Sunday Times i commenti acidi fioccano e c'è chi - Frank Pearson di Southampton propone addirittura di non riaprirlo più, il Parlamento, perché tanto «nessuno se ne accorgerebbe». Sparate a parte, in qualche modo deputati e pari del regno dovranno essere accomodati se si deciderà di dare il via libera: operazione non meno semplice di ristrutturare Westminster.
Le soluzioni al momento al vaglio sono diverse. C'è chi parla di una replica delle Camere da costruirsi negli spazi sottostanti al Big Ben, chi punta invece al vicino Queen Elizabeth Centre - il centro congressi che ha ospitato Casa Italia durante i Giochi olimpici - come valvola di sfogo per lo staff dei parlamentari. Un portavoce del palazzo non ha voluto confermare né smentire nulla e si è limitato a dire che «si stanno redigendo studi preliminari sulle opere di intervento». Ma il tempo per la melina sta per scadere.
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