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Sara Grattoggi per “la Repubblica”
ZAHA HADID CON LA CREME DEL MAXXI
Considerava il Maxxi come un' opera per lei «simbolica, a cavallo fra due fasi, l' astrattismo e lo studio degli spazi fluidi». Nonostante fosse rimasta incompiuta, come ricordò lei stessa all' inaugurazione, rispetto al progetto originale, per ragioni di budget. Un museo «illuminato dalla luce naturale, in cui gli spazi si intrecciano», lo descriveva Zaha Hadid, spiegando di essersi ispirata alle stratificazioni di Roma.
Proprio il museo dedicato alle arti del XXI secolo, secondo la direttrice di Maxxi Architettura, Margherita Guccione, segnò l' ingresso della progettista anglo-irachena scomparsa giovedì, «nel firmamento delle star dell' architettura contemporanea». A cui l' avrebbero consegnata per sempre il Premio Pritzker - il "Nobel" dell' architettura - nel 2004, e ancora i due premi Stirling, di cui uno ricevuto proprio per il Maxxi.
Ma l' eredità che la "regina delle forme" ha lasciato a Roma è tanto importante quanto discussa. Dagli esperti divisi fra chi ne esalta «il carattere urbano, di spazio pubblico» e chi ne critica un certo «virtuosismo scultoreo » che penalizzerebbe la fruizione delle opere al suo interno.
La pensa così, ad esempio, Vittorio Sgarbi che, pure da sottosegretario ai Beni culturali nel 2001 firmò il contratto con Hadid. «Il problema è che lo spazio non è funzionale ad accogliere le opere. Più che un museo è un mausoleo, e lo dissi a Hadid, che si arrabbiò. Non è una questione estetica - come nel caso di Meier, con cui fui durissimo cercando di impedire l' orrore della teca all' Ara Pacis - ma di inutilità. E, ancor più adesso, credo che il Maxxi diventerà un monumento d' architettura».
Di tutt' altro avviso Carlo Olmo, professore di Storia dell' architettura al politecnico di Torino: «Trovo che Hadid, a differenza di molte archistar, non sia caduta nel manierismo di se stessa e che abbia lasciato un' eredità importantissima per Roma, perché ha creato uno spazio di urbanità, come Renzo Piano all' Auditorium.
E le architetture funzionano se sono vissute. Per questo credo che il Maxxi svolga bene la sua funzione. Che poi il lavoro di un architetto sia discusso non è certo una novità, fin da Borromini, che fu accusato delle cose peggiori. Ma se un' opera è discussa, significa che è partecipata».
Non entra nel merito di forme e volumi, ma dell' opportunità stessa di un investimento monstre «con costi lievitati nel tempo da 55 a circa 180 milioni di euro", Alessandro Monti, ordinario di Politica economica all' Università di Camerino. «Si è trattato di uno spreco di risorse, anche perché c' era già la Galleria nazionale d' arte moderna e contemporanea, con un ampliamento sul retro di 8mila metri quadri inutilizzato».
Ma quel che Monti denuncia, nel suo pamphlet Il Maxxi a raggi X (Johan&Levi), sono «le anomalie nella gestione del museo». «Nonostante le risorse pubbliche destinate al Maxxi siano aumentate, nel 2015 i visitatori sono stati 355mila, meno dell' 1% in più rispetto al 2014. Mentre nel 2011, prima del commissariamento, erano stati 450 mila».
Difende la creatura che ha visto nascere Guccione: «Il Maxxi è una sfida vinta, anche per il forte segno contemporaneo, legato alla poetica di Hadid, con cui ha arricchito la città. I suoi spazi, accusati di essere ingestibili, hanno invece una grande flessibilità d' uso. Per quanto riguarda i costi, bisogna dire che il Maxxi è figlio di una stagione di opere pubbliche oggi superata, ma è un' opera conclusa e che, soprattutto, funziona».
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