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Aurelio Magistà per “la Repubblica”
Sono sei i compagni di viaggio con cui Alessandro Mendini racconta se stesso. Nello scenario particolare del Centro Saint-Bénin di Aosta, una chiesa sconsacrata dove sono esposte oltre ottanta opere fra mobili, dipinti, progetti, sculture, disegni e oggetti di varia natura, Mendini mette in fila i personaggi da cui ha ricevuto suggestioni creative e, in qualche caso, le ha restituite.
Sei personaggi scelti con meditata attenzione insieme ad Alberto Fiz, curatore della mostra Empatie. Un viaggio da Proust a Cattelan, che apre giovedi prossimo. «Sono sintonie sempre diverse», spiega Fiz, «anche se tutte fanno parte del percorso e del processo creativo di Mendini. Un percorso che però non ha mai come esito una qualche forma di citazionismo. L’autore non incorpora nella propria espressione elementi altrui riportandoli, come dire?, fra virgolette, ma deriva da queste affinità motivi di nuova ispirazione».
Primo compagno di viaggio è Marcel Proust. Primo in senso cronologico ma anche in relazione all’opera di Mendini più nota al grande pubblico. Il progettista parla della celeberrima poltrona che prende il nome dell’autore della Recherche facendone un esempio concreto del ragionamento premesso da Fiz:
«Quella poltrona », spiega Mendini, «che a causa del suo successo è per me quasi un’ossessione di cui qualche volta mi sento un po’ prigioniero, è nata nel 1978 con una genesi cominciata un paio d’anni prima, quando pensavo a un oggetto narrativo. E poiché forse il narratore per eccellenza, l’autore di un’opera così bulimica che sembra poter contenere tutto, è Proust, ho voluto dare il suo nome a questa poltrona di forma settecentesca in cui la funzione narrativa è rappresentata dal tessuto.
maurizio cattelan balcone di palazzo cavour.1
La prima versione infatti riprende la tecnica pittorica del puntinismo, l’accostamento di tante piccole pennellate di colore alla maniera di Seurat e Signac. Questi puntini, ingranditi sul tessuto, sono la narrazione, e invadono anche la struttura della poltrona», che finisce per apparire una nuvola cromatica, un inganno ottico.
Gli altri cinque compagni di viaggio che Mendini ha voluto indicare considerandoli parte integrante del proprio processo creativo sono tutti artisti: il pittore russo Kazmir Malevich, sperimentatore dell’astrattismo nel primo Novecento, Alberto Savinio, da cui per esempio, spiega il curatore Fiz, «Mendini trae un arco monumentale che diventa lo scrigno di cose segrete, ispirandosi al quadro L’isola dei giocattoli»;
Ettore Sottsass, amico con cui ha vissuto gli anni ribelli del gruppo Alchimia; Frank Stella, artista americano che fra l’altro Mendini aveva chiamato a collaborare al progetto del Groninger Museum, anche se l’idea sviluppata per il padiglione dell’arte, dove il pavimento avrebbe dovuto essere inclinato, era troppo provocatoria per essere davvero realizzata; in mostra Mendini ha voluto proprio i disegni di quell’idea.
Chiude il gruppo un artista che ha eletto la provocazione a forma espressiva: Maurizio Cattelan. Ad Aosta ci sono una miniatura della sedia Scivolavo , una bizzarra seduta inclinata, accanto alla reinterpretazione fotografica che ne ha fatto Cattelan. E, poiché la creatività di Mendini, ben prima di essere progetto, è riflessione, nella sezione dedicata al sesto compagno di viaggio ci sono alcuni oggetti singolari.
Nel segno della massima «Il paradosso è garanzia di pensiero», che Mendini rivolge a Cattelan, il visitatore troverà la lampada che non fa luce, il tavolo di vetro a forma di bara e il bicchiere da cui non si può bere. Come se l’essenza delle cose fosse affermata contraddicendone la primaria funzione per cui esistono.
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