DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Stefania Parmeggiani per la Repubblica
Tina appoggiata alla parete di mosaico bianco, la Graflex in mano, mortalmente stanca. Non piange più. Trema. Ha appena fotografato il cadavere di Julio Antonio Mella, compagno di lotta politica e suo grande amore, ucciso il 10 gennaio 1929 nelle strade di Città del Messico.
Da quella foto, scattata per lasciare una prova e offrire un’ultima carezza, comincia “Tinissima”, lunga e appassionata biografia di Tina Modotti, scritta da Elena Poniatowska e ora pubblicata, per la prima volta in versione integrale (Nova Delphi). Del resto, da dove cominciare per descrivere una donna che non si accontentò di una sola esistenza? Da dove se non da Julio che a Cuba faceva volteggiare in aria la lotta sociale e che a Città del Messico, mentre rimpiangeva il caos dell’Avana, sognava la rivoluzione?
Poniatowska, scrittrice e giornalista messicana, discendente di nobili polacchi, intellettuale tra le più influenti in Latino America, sostenitrice di una letteratura che riscatta i dimenticati dalla Storia, sceglie di cominciare proprio da lui, dal fondatore del partito comunista di Cuba, da quell’ultima passeggiata con la fotografa italiana, dalle parole pronunciate prima che un colpo di pistola mettesse fine alla sua vita e travolgesse Tina con l’accusa di essere lei l’assassina.
Descrive in presa diretta, con una prosa che ha la forza della cronaca, le ore di interrogatorio in tribunale, sotto gli occhi di un ipnotizzatore tedesco e dei giornalisti che andavano a nozze con i particolari della sua vita “licenziosa”.
Non le risparmia nulla, nemmeno il fango dei pettegolezzi: amava Mella e accettava regali dal pittore comunista Xavier Guerrero, non ha osservato il lutto, fa soffrire i suoi amanti… La sua vita privata data in pasto ai commenti delle dame messicane, al sudiciume dei poliziotti e del governo. Ma anche i tentativi dei tanti che in lei credevano.
Poniatowska racconta i complottisti e i rivoluzionari che divisero con lei quegli anni, a cominciare da Diego Rivera al centro di altri due libri dedicati alle sue mogli dimenticate: Lupe Marìn e Angelina Beloff. Lo descrive imponente e febbrile mentre arringa alla folla: «È un omicidio politico, non passionale ». Il dito puntato contro il presidente cubano Gerardo Machado.
Tina lo aveva conosciuto anni prima, quando attraversava le regioni centrali insieme al fotografo Edward Weston, suo amante e maestro. Lei era una attrice dall’ovale perfetto e dalle ambizioni per nulla commerciali. Non era ancora una militante del movimento comunista internazionale. Rivera, i muralisti, gli intellettuali e i fondatori del giornale El Machete la conquistano.
Finito il legame con Weston, sceglie di restare in Messico e presto la sua opera diventa uno strumento di lotta: le sue fotografie, molte contenute nel libro, sono simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto. L’ex operaia friulana, emigrata con la famiglia negli Stati Uniti, diventata attrice e poi fotografa, si trasforma in Tinísima. Resiste al fango che le riversano addosso per coprire i sicari di Mello, ma nulla può quando la accusano di aver partecipato a un attentato contro il nuovo capo dello Stato, Pasqual Ortiz Rubio.
È l’inizio di una nuova vita, l’ennesima. Il ritorno in Europa, gli anni in Russia, il Soccorso Rosso Internazionale, la guerra di Spagna al fianco del suo ultimo amore, Vittorio Vidali. E infine il rientro in Messico, le difficoltà in un Paese in cui non riesce ad adattarsi, la magrezza estrema, la rottura con Diego e Frida che hanno ospitato Trockij — «opportunisti, esibizionisti, vogliono solo farsi pubblicità» — , l’infarto che la sorprende dopo una cena con amici a soli 46 anni.
frida kahlo con chavela vargas
E la stampa reazionaria accanita su di lei, pronta a ricominciare con la storia dell’italiana viziosa e ad accusare Vidali e i comunisti della sua morte: avvelenamento, sapeva troppo, le parole la inseguono… Sono gli operai, i contadini, i rifugiati e i compagni di partito che alzano la voce e difendono la sua memoria. Infine Pablo Neruda con la dolcezza delle sue parole: «Riposa dolcemente, sorella. / La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua: / hai indossato una nuova veste di seme profondo / e il tuo soave silenzio si riempie di radici».
Una immagine a cui si finisce per credere leggendo il romanzo della sua vita, questo libro così documentato e appassionato, pubblicato una prima volta negli anni Novanta e oggi rinato grazie a una nuova traduzione di Francesca Casafina e senza nessun taglio.
L’autrice ha voluto che fosse così: che nessuna delle seicento pagine raccolte in dieci anni di interviste fosse sacrificata. Perché la sua biografia di Tina Modotti è qualcosa di più che il racconto di una esistenza straordinaria: è la descrizione di un mondo e delle persone che in quegli anni irripetibili vollero credere nella rivoluzione. È l’omaggio di una grande scrittrice al suo Paese e alla pasionaria italiana che tanti anni fa ne fotografò l’anima.
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