DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Michele Anselmi per Dagospia
Volete sapere come finirà , tranne sorprese cervellotiche sempre possibili, questa ridicola soap attorno al Festival del cinema di Roma, diretta e interpretata malissimo dalla coppia Sderenata Polverini & Ale-Danno, per dirla con D'Agostino? Che Marco Müller, ormai silente da un mese per evitare ulteriori danni alla sua candidatura e soprattutto per allontanare l'ingloriosa fine di Giulio Malgara trombato alla Biennale, lunedì prossimo passerà per un pelo senza che Gian Luigi Rondi giustamente si dimetta; in cambio, dopo estenuante trattativa, non muteranno gli assetti generali della kermesse quirite, Francesca Via resterà direttore generale e tutto il resto non si toccherà . Scommettiamo che andrà così?
Le cose si sono ingarbugliate a tal punto, da un lato per l'insipienza politica di governatrice e sindaco, dall'altro per le ambizioni personali non tenute a freno dal direttore in pectore, che solo un compromesso in extremis permetterà di trovare un cencio di accordo. Col risultato di piazzare Müller (San Pietroburgo era solo un ballon d'essai favorito dalla complicità dell'ex ministro Urbani, ben introdotto presso Putin e già sponsor del cinefilo sinologo) in un contesto che di sicuro, almeno all'inizio, lo guarderà in cagnesco. Si dirà : capita sempre con i cambi di "regime", vale anche per i direttori dei giornali e i manager d'azienda.
Improbabile che la vicenda - destinata forse a risolversi il 6 febbraio - rischi di triturare lo stesso Müller. Infatti dalla Biennale, dove lo conoscono bene, fanno notare che l'uomo, una volta incassata la nomina sia pure con margini risicati, governerà con il consueto piglio da mandarino cinese, provando a occuparsi anche di soldi e bilanci (non gli fu possibile a Venezia).
Intervistato da Gloria Satta sul "Messaggero" di oggi, il novantenne Rondi tiene il punto, smentendo le voci inconsistenti dei giorni scorsi in merito a presunte dimissioni. Fa bene il decano della critica ricolmo di decorazioni quirinalizie. «Non mi dimetto, il mio mandato scade a giugno. Mi asterrò, l'ho ribadito anche al sindaco. Astensione significa che sono pronto ad accettare qualunque esito della votazione» ha scandito al quotidiano romano, che forse s'è sbizzarrito un po' troppo nel lanciare candidature tanto "alternative" quanto inconsistenti.
Cosa significa? Che Rondi, attento alle forme e alla correttezza istituzionale per antica consuetudine democristiana, non vuole farsi mettere i piedi in testa dal sindaco sventato e dalla governatrice yé-yé. Resta lì, si astiene e osserverà lo spettacolo, sapendo che la partita - sia che finisca pari, cioè 2 astenuti, 2 sì e 2 no, sia che finisca con la vittoria scheletrita di Müller, cioè 3 astenuti, 2 sì e 1 no - fornisce un'immagine poco commendevole delle pretese politiche di un centrodestra pasticcione, diviso al suo interno, affannato e goffo.
Tutti questi pressing politici, su Rondi perché si dimetta, su Mondello e Fuortes perché si astengano e favoriscano così la nomina del nuovo direttore, mostrano quanto sia nata male la questione; e rendono un gigante il presidente della Biennale, Paolo Baratta, che in meno di un mese ha fatto sei nomine cruciali, cinque all'unanimità e solo una, quella di Massimiliano Gioni ieri, a maggioranza. Due mondi opposti, due culture del fare, due sensi dello Stato.
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