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Estratto dell’articolo di Elvira Naselli per www.repubblica.it
Qualche giorno fa se ne è occupato anche il New York Times raccontando la storia di Joe Loree, 68 anni, che si ritrova con un Psa elevato - indicatore di possibile tumore alla prostata ma anche di altre probabili condizioni - e si rifiuta di sottoporsi agli stessi trattamenti aggressivi i cui effetti aveva visto su amici e sul fratello decidendo di optare per la strada della vigilanza controllata. Se il tumore alla prostata è a basso rischio intervenire chirurgicamente o con radiazioni potrebbe infatti non essere l'opzione migliore.
E sono sempre di più gli uomini che si convincono, al di là delle ansie personali di doversi tenere un tumore, che piuttosto che sottoporsi a intervento o irraggiamento, comunque invasivi e con effetti collaterali non irrilevanti, la soluzione di vigilare sull'evoluzione della malattia, pronti a intervenire in caso di bisogno, è la più efficace. Ed è quella con un bilancio migliore costi-benefici, dove i costi non sono soltanto quelli a carico del sistema sanitario ma anche quelli degli effetti sul paziente.
In termine tecnico questa modalità di intervento si definisce sorveglianza attiva ed è già prevista da molte linee guida internazionali, sebbene spesso sia stata osteggiata dagli stessi pazienti. La percentuale di chi sceglie questa strada varia dallo zero al 100 per cento, riferisce con un po' di amarezza Matthew Cooperberg, oncologo urologo all'università di California, San Francisco.
E dipende solo dall'urologo che il paziente incontra sulla sua strada. Perché il primo livello è proprio quello: parlare con il paziente, rassicurarlo che quel cancro di piccole dimensioni e confinato nella ghiandola prostatica difficilmente cambierà faccia nel corso della vita, ma se dovesse farlo sarà intercettato per tempo e a quel punto sì che si procederà verso trattamenti più aggressivi. […]
Controllare, appunto. "Con controlli ravvicinati all'inizio - dettaglia Racioppi - il Psa ogni tre mesi, dopo 6-9 mesi la risonanza multiparametrica e dopo un anno una biopsia". Del resto oggi in Italia - precisa Procopio - mezzo milione di persone vive con un tumore alla prostata altamente curabile e il 90% è vivo a 5 anni, in tutti gli stadi".
Insomma, se si ha un tumore piccolo e poco aggressivo è meglio tenerselo e stare sotto sorveglianza. "Al San Raffaele ne seguiamo mille - continua Montorsi - ed è vero che un certo numero di pazienti si fa operare solo per paura e non perché sia necessario. Sempre meno per fortuna. Soprattutto quando vengono seguiti da urologi giovani e preparati. […]
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