Camillo Langone per il Foglio - Estratti
LUCA BEATRICE
L’ultimo dei critici d’arte, Luca Beatrice. L’ho pensato leggendo “Le vite. Un racconto provinciale dell’arte italiana” (Marsilio), libro neovasariano in cui le biografie di artisti fra ventesimo e ventunesimo secolo si intrecciano all’autobiografia di un critico militante. Beatrice, che pure non è uno stroncatore, nel libro esprime dubbi e giudizi di valore: ecco il critico. Ed ecco la differenza col curatore, la figura oggi prevalente. Il curatore fa parte del personale di servizio.
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VITTORIO SGARBI
Estratto dal libro “Le vite” di Luca Beatrice
Vittorio Sgarbi
(Ferrara, 1952. Vive a Roma e dove capita)
sgarbi
«Che lavoro fai?» Il critico d’arte. «Ah, come Sgarbi! Ma lo conosci?» Non so quante volte me lo sarò sentito chiedere. Da quando lui rese popolare un mestiere fino ad allora riservato agli specialisti, agli addetti ai lavori, ai professori universitari, in Italia c’è un prima e un dopo Sgarbi: l’uomo che ha modificato il ruolo dell’intellettuale rispetto ai media, alla politica e alla televisione,a partire dagli anni novanta ospite praticamente fisso al Maurizio Costanzo Show, poi conduttore e attore negli Sgarbi quotidiani.
Non più il professore chiamato ogni tanto a dire la sua in televisione come già capitava, ma uno showman perfettamente inserito nei meccanismi della comunicazione. Sgarbi, infatti, può parlare di Caravaggio e del governo, di un’attribuzione dubbia o di un caso di cronaca; può azzuffarsi con gli altri ospiti e passare all’insulto con il famoso intercalare «capra, capra, capra»; può curare una mostra, presiedere un museo, diventare sindaco o sottosegretario; viaggiare per ventiquattro ore di fila e dormire «nei ritagli di tempo». Ci vuole un’energia non comune, anzi straordinaria, per essere Vittorio Sgarbi e siccome non ce l’ha nessuno, il suo modello non è duplicabile, comincia e finisce con lui.
LUCA BEATRICE LE VITE COVER
Dal libro alla tv fino ai social, dove chiaramente è seguitissimo da un pubblico orizzontale di fan, maneggia qualsiasi strumento di comunicazione, dal più paludato al più innovativo. Condimento necessario e la provocazione, il cui primo effetto è stato moltiplicare la popolarità sua e del mestiere di critico.
Non c’è abbastanza spazio per ripercorrerne la biografia: ci vorrebbe un J.R. Moehringer che, dopo André Agassi e Spare, dove racconta Harry, il principe di riserva, si mettesse a scrivere la vita di Vittorio Sgarbi, che la sorella Elisabetta pubblicherebbe per La Nave di Teseo.
Sgarbi è multiforme, e di certo ne esistono almeno due: quello che ha davanti telecamera e microfoni e non si pone alcun limite, e quello «a tu per tu», affabile, disponibile, generoso persino. Se ti capita la fortuna di incontrarlo in questa seconda veste, il confronto è culturale e sempre appagante.
Vorrei vederlo di più, ma è impossibile, conduciamo vite troppo diverse, come se abitassimo fusi orari opposti: lui è attivissimo la notte, io vado a letto presto e presto mi sveglio al mattino, ho il vizio della puntualità esasperata mentre lui spesso colleziona ritardi insostenibili. Dopo le 23 il mio telefono è spento, Vittorio ti può chiamare a qualsiasi ora, anche alle 3 o alle 4 e, se non gli rispondi, si arrabbia pure. Ecco perché, nonostante l’amicizia, l’affetto, la stima, i nostri incontri non possono che essere casuali.
sgarbi sangiuliano
A meno di non inseguirlo, pratica di molti insistenti. Quando si presenta a un evento, talvolta ben oltre l’orario di inizio previsto, si forma il codazzo di ammiratori, ammiratrici, questuanti, aspiranti artisti che lo toccano come fosse un santo che dispensa miracoli. Lo adulano. Lui per un po’ ci sta, perché gli piace: ricambia con pacche, abbracci, come dire «vedete, sono umano anche io», eppure si capisce che è annoiato e stanco.
Davanti al gruppo in attesa, io fuggo, e pazienza se non ci siamo salutati neanche stavolta: sarà per la prossima. Però niente anticamera: non si aspetta, non è dignitoso; capiterà prima o poi, e se non capiterà ci sarà modo di sentirci al telefono, basta che non sia troppo tardi.
luca beatrice
Di Vittorio, Paolo Villaggio avrebbe detto «ha una cultura mostruosa»: sa tutto di arte ed è preparato anche in letteratura, musica, teatro, con una predisposizione al classico. Nei suoi confronti c’è un pregiudizio che mi infastidisce, perché lo sento ripetere superficialmente dai pappagalli: Sgarbi è uno storico che conosce profondamente la pittura dei secoli passati, ma del contemporaneo non capisce niente.
Giudizio affrettato che genera un errore. Sgarbi dice che tutto è contemporaneo e questo non e proprio vero, perché lo è Damien Hirst, mentre mia zia che dipinge marine e paesaggi è solo vivente in quanto non incide sul proprio tempo che poi e anche il nostro, a differenza di Hirst o di Maurizio Cattelan. Altro discorso è identificare il contemporaneo con la linea del pensiero dominante e unico: Sgarbi non ci sta e anzi ama gli artisti non troppo alla moda, va in cerca dell’estro, della curiosità, si ribella all’esclusione preconcetta e promuove
un antisistema che non trovi né a Basilea né ad Artissima.
Il suo taglio critico originale sta nell’accostare artisti di diverse epoche storiche, in quanto si può leggere il presente tenendo conto dell’eredità del passato e il passato con lo sguardo del presente.
l'istruttoria ferrara sgarbi d'agostino
Affascinato dalle storie controcorrente, ama il virtuosismo, la capacità nel fare con le mani oltre che con la testa, si entusiasma per le vicende poco note: tra i grandi dell’arte cita, ad esempio, Luigi Serafini, l’autore del Codex Seraphinianus pubblicato da Franco Maria Ricci nel 1981, amato anche da Roland Barthes e Italo Calvino; un personaggio d’altri tempi, che da giovane raggiunse l’architetto Paolo Soleri nella città utopistica di Arcosanti, che lavorò con Federico Fellini ed è pittore, ceramista, scultore, ovvero l’archetipo dell’artista virtuoso, inclassificabile e di nicchia che piace a Vittorio.
Tra i più giovani, menziona spesso Nicola Samori, pittore di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, e in genere espone gli artisti che ama al mart di Rovereto da quando ne è presidente, interpretando questo ruolo istituzionale con la consueta operatività vulcanica, facendo acquisire al museo una vivacità prima inconsueta, per cui ogni volta trovi sempre qualcosa di diverso.
LUCA BEATRICE
In quanto al gusto, Sgarbi si trova a proprio agio con le tecniche tradizionali come la pittura, la scultura e il disegno rispetto all’installazione, l’oggetto, il concetto. Verrebbe da dire: come tanti altri, anche tra gli specialisti, che però non osano dichiararlo apertamente, temendo di risultare troppo démodé.
vittorio sgarbi foto di bacco
Sgarbi diverso da tutti gli altri critici? In qualche modo sì. Esiste una sua linea poetica molto precisa che si legge nel rapporto tra antico e contemporaneo, raccontata in decine di libri illustrati, saggi e conferenze. Ecco, ciò che non farò mai è partecipare a una conferenza con lui. Come oratore Vittorio è inarrivabile, parla sempre a braccio, parte da un punto, fa giri incredibili e arriva a chiudere il cerchio: mai un’esitazione, un intercalare che mostri incertezza.
Io credo di cavarmela bene nel cosiddetto «public speaking», ma lui non teme rivali. Non vedo proprio la necessità di farmi massacrare, e visto che non c’è bisogno di accettare confronti né sfide, quando parla sono ben felice di ascoltare, prendere appunti, elaborare. Così non mi viene l’ansia e me lo godo, l’autentico fuoriclasse dell’arte in Italia.
VITTORIO SGARBI