DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Riceviamo e pubblichiamo
Caro Dago,
Sgarbi ha ragione nel ridicolizzare l’attribuzione a Tiziano di un mediocre ritratto, salutato a livello istituzionale come ‘clamoroso ritrovamento’ di un ‘capolavoro scomparso’.
L’opera in realtà pare fosse da tempo sotto sequestro per un tentativo di esportazione illegittima con un provvedimento che scatta a prescindere dall’attribuzione e dal valore. Ma non è stato questo a fare notizia, quanto l’altisonante attribuzione a Tiziano con la conseguente valutazione a circa 7 milioni di euro.
Ritratto di gentiluomo con berretto nero opera attribuita a tiziano
Il punto è: perché presunte “scoperte” di opere di scarso o nullo interesse sia storico-artistico che di mercato, finiscono sempre più sui giornali dove si fanno e disfano le attribuzioni (ma soprattutto si fanno)?
Un’attribuzione, non è materia da competenti? Solo negli ultimi tempi ci è stata inflitta una copia della Gioconda assolutamente qualunque che ha risvegliato le brame mediatiche di un alto funzionario della Camera che ha ritenuto di “scoprire” il “capolavoro nascosto” che però gli addetti ai lavori conoscono da sempre per quel che giustamente è.
Proprio niente da scoprire. Poco prima era apparso in Puglia un comico autoritratto di Leonardo: anche in questo caso è stato invocato l’intervento messianico di mitizzati laboratori di restauro per avere prove magiche e inconfutabili a suon di “pentimenti”, disegni preparatori o mancanza di essi, a seconda di quel che serve.
vittorio sgarbi foto di bacco (3)
Senza che qualcuno di autorevole dica che dal ricorso alle scienze fisiche di analisi della materia pittorica e a tutti gli ammennicoli delle fluorescenze, dei Raggi X o ultravioletti, delle luci radenti e delle macrofotografie, insomma tutto l’armamentario diagnostico che ha altre finalità di indagine obbiettiva ma che viene invece usato come rivelazione salvifica per dimostrare l’inverosimile, non potrà mai venire l’agognata attribuzione. Anche perché entro una forbice di almeno trecento anni materie e procedimenti possono essere identici, sia per le croste che per i capolavori.
Allora forse il problema è questo: l’autorevolezza. Che stronchi sul nascere le stramberie, prima che divengano ridicole arene di incompetenze come i talk show guerreschi o epidemici. Nei territori dove in genere nascono le leggende, gli storici dell’arte delle Soprintendenze dovrebbero essere perfettamente in grado di dire subito una parola definitiva, che impedisca sul nascere la crescita di fantasticherie strumentali, perché un ritratto di Tiziano è obbligatorio saperlo riconoscere al primo colpo d’occhio per chi fa questo mestiere.
tavola lucana presunto autoritratto di leonardo
Nel caso ora emerso a Torino si deve non solo disconoscere l’attribuzione ma dare subito la risposta competente sulla sua paternità impedendo la messa in moto della giostra mediatica, anche se minima e localistica, prima che queste insulse ‘scoperte’ travalichino i confini nazionali gettando dubbi sulle nostre competenze. In questo caso affermando che la mediocre tela nulla ha a che fare con Tiziano o il suo atelier, che l’ipotesi di trasferirla nel mitico laboratorio di restauro alla ricerca della mano del Maestro è perdita di tempo, denaro e credibilità; che la teletta va posta senza strepiti nel suo chiaro ambito stilistico di appartenenza, quello bergamasco o più esattamente lombardo veneto influenzato dalla ritrattistica di Girolamo da Carpi e per la quale non ci sarà mai un nome né una stima superiore alle poche migliaia di euro.
Tutto qua, fine dei giochi e del circo. Altrimenti dobbiamo sperare solo nel vaiolo delle scimmie per distogliere l’attenzione della nuova ondata di esperti che si stanno scaldando nei backstage televisivi.
Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese
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