DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
«C'è stato Pelé, e poi tutti gli altri. Lo guardavo giocare, lì, sullo stesso campo e non credevo ai miei occhi. Era a due metri, ma era sulla Luna. Oggi se ne va una parte di me».
Sandro Mazzola incrociò Pelé per la prima volta in una finale mondiale, che allora si chiamava Coppa Rimet. Non proprio un'occasione qualunque. Messico '70, stadio Azteca: Pelé, e tutto il mondo intorno.
Qual è il suo primo ricordo di quel giorno?
«Entrammo in campo per il riscaldamento e guardavamo soltanto lui, come si muoveva, cosa faceva. Gli osservai le scarpe, cercando di carpire chissà quale segreto, se avesse i tacchetti di gomma o di cuoio, come potesse accarezzare il pallone in quel modo. Inseguivo la risposta a un segreto che risposte non ha: si chiama arte».
Voi due vi parlaste?
«A un certo punto, nel riscaldamento si avvicinò e mi disse: "So chi era tuo padre e tu sei degno di lui". Mi mancò il respiro, quella frase mi paralizzò. Dopo, non ricordo nemmeno come la giocai quella finalissima».
Italia contro Brasile. Un sogno, o forse no.
«Avevamo tutti contro, la Nazionale era spaccata come solo noi italiani possiamo fare.
Sembrava che essere arrivati fin lì desse fastidio ai dirigenti: avevano già prenotato l'aereo per tornare a casa dopo il primo turno. Ma quella finale, sì, fu un sogno».
(...)
Nel Brasile giocavano cinque numeri 10, nell'Italia non c'era posto per Mazzola e Rivera insieme. Perché?
«Eppure eravamo diversissimi. Qualunque altra nazionale avrebbe detto: giocano quei due più altri nove, invece noi ci complicammo solo la vita. Una specialità italiana. Peccato».
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