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Enrico Currò per “la Repubblica”
Il sasso scagliato da Mario Balotelli non è affondato nello stagno dell' indifferenza. C' è un passaparola tra i colleghi della serie A, di colore e non solo: sono pronti a schierarsi al suo fianco, lasciando il campo di fronte al prossimo episodio di razzismo. L' appello più folgorante è di un sedicenne: Henoc N' gbesso, attaccante delle giovanili del Milan e della Nazionale Under 17, bresciano anche lui, origini ivoriane:
«La ferita di Mario me la sono sentita addosso. Io non credo che debbano uscire dal campo solo i giocatori di colore, ma tutti. Credo che soltanto così la gente allo stadio si renderebbe finalmente conto che è accaduto qualcosa di molto grave. E che non può, non deve esserci un bis».
Nove anni sono passati dal triste 17 novembre 2010 a Klagenfurt, amichevole Italia-Romania, cori e striscioni contro Balotelli, «non ci sono neri italiani» e via col campionario delle annesse bestialità, causa di diciassette denunce, nel 2013, ad altrettanti ultras Italia «per diffusione di idee fondate sulla superiorità, sulla discriminazione e sull' odio razziale». Nove anni e sembra oggi, perché nulla parrebbe cambiato, anzi.
Balotelli è ancora qui con lo stesso problema, lui che di razzismo parla quotidianamente negli spogliatoi del Brescia, ascoltatissimo dai compagni. Invece non è così. Una novità c' è: il suo gesto di ribellione a Verona stavolta non è passato inosservato, non poteva. Tra i giocatori di colore, e non solo, sta passando la linea forte, perché non ci sia un bis del Bentegodi: uscire appunto tutti dal campo non appena informati del prossimo insulto, del prossimo ululato, del prossimo verso della scimmia, chiunque sia la vittima.
Ieri Mario ha capito subito che era successo qualcosa di nuovo: dalle reazioni dei colleghi, dalla solidarietà pubblica attraverso i social e da quella privata. Lo juventino Matuidi è stato il più duro, da Napoli Koulibaly si è associato. Prende forma l' idea di un documento stile "manifesto di Sterling": nell' aprile scorso l' attaccante del Manchester City pubblicò sul Times un articolo sul tema, subito sottoscritto da numerosi calciatori, allenatori ed ex della Premier League. Sterling chiedeva, tra l' altro, che i giocatori bersagliati dai razzisti non venissero puniti, se lasciavano il campo.
Anche Balotelli ha giocato nel City e in Inghilterra ha affinato la sensibilità in materia. Nel giugno scorso a Madrid l' inglese Daniel Sturridge, oggi centravanti del Trabzonspor in Turchia e allora fresco di trionfo in Champions col Liverpool, rivelò la particolare attenzione di Balotelli alla questione.
Che Mario abbia doti di divulgatore lo dimostra la foto della Nazionale ad Auschwitz nel 2012, prima dell' Europeo, in cui lo si vede spiegare a Cassano, in lacrime, le origini ebraiche dei suoi genitori adottivi. L' assurdità del razzismo è la sua certezza. Da bambino, racconta nel libro "Demoni", gli capitò di restare escluso dai coetanei, in una partitella, «perché sei nero». Durante il ritiro romano dell' Under 21, anno 2009, da una moto gli lanciarono un casco di banane, a Ponte Milvio. L' estate scorsa, quando è tornato in Italia dal Marsiglia, in piena emergenza sbarchi, non ha eluso la domanda fatidica: «Vorrei che il popolo italiano fosse un po' più umano. Gli ululati allo stadio? Ora non voglio pensarci, mi auguro che non capiti» . È capitato.
Però lui non è rimasto in silenzio e ieri se n' è potuto compiacere. Aveva seminato bene. Il talentuoso Henoc N' gbesso, classe 2003, si è appena rotto un ginocchio: ha le stampelle e le idee chiarissime, da studente del liceo di scienze umane con gli occhi aperti sul mondo zoppo degli stadi italiani, che coprono di ridicolo la serie A, nel giudizio severo dell' Uefa, il governo del calcio europeo: «Quale sia stato l' incipit del verso della scimmia a Verona, dato che nessuno è una bestia, credo di saperlo: l' ignoranza. E poi il negazionismo.
Nel 2018, a Cagliari, stavo festeggiando un gol e i miei compagni mi hanno fatto notare che qualcuno mi aveva urlato: "Negro di merda". Il responsabile del loro settore giovanile disse che non era successo niente: negava l' evidenza. Io non ci faccio caso, sono circondato da persone vere. E tra i miei riferimenti ci sono Luther King e Mandela, è normale che le loro storie mi tocchino di più. Come la battaglia di Balotelli».
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