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Cristiano Gatti per il “Corriere della Sera”
Ormai sono arrivati alla prima persona plurale: noi preferiamo giocare a destra, noi ci esprimiamo meglio dietro le punte, noi non ci sentiamo valorizzati da questo allenatore. È un fatto: i veri padroni del calcio, ma forse si fa prima a dire dello sport, sono i procuratori. Nati come oscuri consulenti dell’atleta in faccende contrattuali e normative, sono rapidamente passati alla posizione di soci in affari e infine hanno completato la scalata societaria diventando dispotici azionisti di maggioranza. Per qualche campione che si appoggia al padre o al fratello, per qualche mammone che ancora manda avanti la madre, domina la regola generale del procurato-Re. Re Sole, qualche volta Re Sola.
jorge mendes cristiano ronaldo
Raiola il numero uno: basta il nome per seminare soggezione e terrore. Il mestiere è bellissimo: rischio zero. Rischiano club e giocatori, loro incassano la percentuale e vada come vada. Premono in società contro l’allenatore che non comprende il talento del loro Maradona (l’ultimo quello di Iturbe, genio incompreso da Garcia), minacciano di portare la creatura all’estero, montano il giocatore contro il mister zuccone. Studiano strategie, tessono tele, provocano rotture. Flirtano su più tavoli, scatenano aste, mettono in giro voci.
E i contratti firmati? I più scafati di loro si pavoneggiano: beata ingenuità, i contratti sono fatti per essere stracciati. La cosa bella è che quando si solleva qualche dubbio su questa tracimazione di poteri, i migliori di loro saltano su indignati: ma come, abbiamo regole e statuti, conosciamo bene la deontologia. E non è neppure una difesa così campata per aria: qualcuno davvero prova a essere professionista fino in fondo.
Solitamente, si riconoscono questi virtuosi per la pochezza del loro portafoglio-assistiti. I più spregiudicati hanno invece la coda fuori dalla porta. I calciatori hanno capito: più il procuratore è disinibito e scaltro — diciamo così —, più si porta a casa. E pazienza se la sua invadenza può provocare qualche incidente diplomatico.
L’altro giorno, Mancini ha mandato cortesemente a stendere il procuratore di Kovacic, dicendo una cosa basilare, «se ho qualcosa da chiarire lo faccio col giocatore», ma la frase suona come una ribellione scandalosa. Per dirla tutta, gli allenatori non si devono più permettere. A parte Zamparini, che adora i procuratori come la gastrite, in generale i presidenti preferiscono subire. Comunque mantenere il quieto vivere.
Il procuratore va rispettato, blandito, anche viziato. Una cosa è avere contro il giocatore, ma un’altra è avere contro il procuratore: è come avere contro la suocera, non c’è partita.
Così, oltre agli stadi vuoti, ai debiti, ai fallimenti, il calcio si ritrova anche questa complicazione di ultima generazione: un nuovo potere occulto, neanche tanto occulto, capace di fare il bello e il cattivo tempo. Un altro potentato che vuole sedersi a capotavola, dove tutti stanno già a capotavola.
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