DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Stefano Semeraro per la Stampa
Il rugby francese è sull’orlo di una crisi totale, anzi, forse ha già passato il limite. Se ne parla da tempo, fra scandali di vario tipo, ma dopo l’enorme scalpore suscitato dalla annunciata fusione fra due delle squadre più famose e blasonate di Francia, Stade Francais e Racing Metro (per ora bloccata dallo sciopero dei giocatori e dall’indignazione dei politici parigini) il bubbone è scoppiato apertamente e oggi l’Equipe dedica al caso un lungo dossier.
Sotto accusa la crescita sregolata e selvaggia di uno sport che predicava rigore, sostegno e solidarietà e oggi conosce quasi ogni giorno un nuovo allarme: dai debiti che hanno travolto lo Stade Francais, all’uso di cocaina che secondo la stampa francese è ormai diffusissimo nei team, dall’utilizzo di doping pesante – vedi la positività ai corticosteroidi del divo neozelandese Dan Carter e dei suoi compagni di squadra al Racing Imhoff e Rokocoko resa pubblica a fine 2016, seguita da quella di Dulin e Nyanga dello scorso gennaio -;
dalla disinvoltura con cui un altro mito ex All Blacks, Ali Williams, e del suo compagno del Tolone James O’Connors si sono fatti beccare ad acquistare di di cocaina in discoteca all’accusa di stupro mossa due giorni fa da una ragazza a sei giocatori del Grenoble che sono finiti sotto custodia della Polizia.
Notti brave, soldi spesi con troppa facilità da mecenati come Boudjellal a Tolone e Lorenzetti a Parigi, che hanno gonfiato gli stipendi attirando stelle straniere da tutto il mondo - e infatti la nazionale ne soffre - e creato ’bolle’ finanziare destinate ad esplodere come quelle dello Stade Francais (il budget medio di un club del Top14 è passato dai 2,6 milioni del ’98 ai 21,3 del 2015...).
Sostanze stupefacenti più o meno ricreative che circolano anche con la funzione di ansiolitici per giocatori sottoposti a pressioni sempre più grandi, a traumi spesso sottovalutati che possono portare a danni permanenti. E poi le guerre di ’ego’ fra i vari Boudjellal, Lorenzetti e Bernard Laporte ex ct della nazionale diventato presidente della federazione che intende rivoluzionare il sistema, e i continui cambi di allenatori che fino a qualche anno fa erano impensabili nella palla ovale.
Il Top14 è l’equivalente della premier League nel calcio, attira grandi nomi e capitali enormi, fa gola a tv e appassionati ma rischia di implodere sotto il proprio peso. E soprattutto di perdere l’anima, il contatto con i valori e i principi che hanno sempre rappresentato la forza di uno sport che oggi non può certo fare la morale al calcio sul piano dei comportamenti, della integrità morale e del fair-play finanziario. «Mi chiedo se questo è ancora rugby», ha dichiarato Jean Monribot, capitano del Bayonne, che in campo pochi giorni fa ha incitato i compagni a ribellarsi «a questo professionismo di merda».
Ormai, secondo Monribot, «conta solo avere un contratto, dei soldi, e se hai quelli sei costretto a essere in forma ogni domenica. L’elemento umano e dei sentimenti non c’è più e noi giocatori abbiamo l’impressione a volte di essere trattati come bestiame».
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