1. E’ LA GERMANIA DI LOEW E DI MULLER CHE ALZA LA COPPA DEL MUNDIAL. PAZZA GIOIA FINALMENTE TEDESCA. MESSI CHE NON SARÀ MAI MARADONA. E BRASILE CHE SCAMPA ALMENO LA CRUDELTÀ D’ESSERE INVASO E SPUTTANATO DALLA BALDORIA DEI TANGHERI ARGENTINI 2. LA PERLA DI UN PAFFUTO RAGAZZO, GOETZE, ARRIVA IN FONDO A 120 MINUTI CHE SPECCHIANO LA BELLEZZA IRRIPETIBILE DI QUESTO MONDIALE, LO SPASIMO, LA PALLA IN BILICO 2. C’È LA MERKEL E C’È PUTIN, PROSSIMO CERIMONIERE DEL MONDIALE. C’È RIZZOLI, FISCHIO IN BOCCA. L’ITALIA CHE RESTA. C’È IL CIGLIO UMIDO DI SABELLA, QUELLO DEL PUPPET SHOW 3. LA BANDA DI FIGO LOEW DEVE DIMENTICARE IN FRETTA IL BRASILE. QUESTA È TUTTA UN’ALTRA SOLFA. GLI ARGENTINI HANNO UN’ANIMA DI FERRO. E HANNO MESSI. OGNI VOLTA CHE SI ACCENDE, SONO EMICRANIE. MA SI ACCENDE SEMPRE MENO 4. MESSI SBAGLIA QUELLO CHE NON SBAGLIA MAI, PALACIO SI PAPPA QUESTO MONDO E NON NE AVRÀ UN ALTRO. IL RAGAZZO GOETZE SCRIVE IL LIETO FINE. LIETO PERCHÉ GIUSTO

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Giancarlo Dotto per Dagospia

 

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E’ Philip Lahm che alza la coppa sotto l’abbraccio di pietra del Corcovado. Pazza gioia finalmente tedesca. Messi che non sarà mai Maradona. E Brasile che scampa almeno la crudeltà d’essere invaso e sputtanato dalla baldoria dei tangheri argentini. La perla di un paffuto ragazzo, Goetze, arriva quasi in fondo a centoventi minuti che specchiano la bellezza irripetibile di questo mondiale, l’equilibrio assoluto, lo spasimo, la palla in bilico sulla fune.

 

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Lo vedo Papa Francesco tramortire con il suo unico polmone sano nella sua stanzetta, la 201, al secondo piano del Santa Marta, tra i crocifissi e le Madonne. La rivincita di Joseph Ratzinger. Lo vedo “Benedikt”, nel suo emerito eremo, l’appartamento al primo piano del monastero Mater Ecclesiae, a pochi metri dall’usurpatore argentino, il gesuita venuto dall’altro mondo, cedere alla tentazione diabolica di guardarsi almeno i supplementari, stremato e scarnificato, i piedolini acquattati al caldo delle pantofole di raso rosso, le sue calzature feticcio, esultare tremulo in simbiosi con la Merkel.

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Terza volta tra le due. Al Maracanà. Quando il Brasile tramonta. In tutti i sensi possibili. Ci sono tutti, ma proprio tutti, lo sguardo schifato di Maradona, quello imbalsamato di Pelè che saluta come un capo di Stato, il capo di Stato, Dilma Roussef, che non saluta, sta lì ma vorrebbe stare altrove, in una buca di Belo Horizonte, la sua terra, ma anche la città della vergogna.

 

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C’è la Merkel e c’è Putin, prossimo cerimoniere del mondiale. C’è Rizzoli, fischio in bocca. L’Italia che resta. C’è il ciglio umido di Sabella. Ecco dove l’ho visto, in un Puppet Show. Non c’è Khedira, polpaccio offeso, ma quelli della Rai se ne accorgono con la velocità del bradipo, partita già iniziata da un pezzo. Che dire? La banda di Figo Low deve dimenticare in fretta il Brasile. Questa è tutta un’altra solfa. Gli argentini hanno un’anima di ferro. E hanno Messi. Ogni volta che si accende, sono emicranie. Si accende sempre meno.

 

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E hanno Mascherano, testa rasa, in versione samurai. La ciabattata di Higuain è da manuale del brocco. Kramer è solo illusione. Patisce e sparisce dopo mezz’ora. Scena troppo grande per le sue tempie così piccine. Meglio, molto meglio Shurrle, il biondo che castiga. La Germania è squadra, l’Argentina è lampo. La Germania è tessitura, l’Argentina è strappo. C’è tutto il grandissimo culo argentino sul palo di Howedes. Ma non durerà.

 

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Messi sbaglia quello che non sbaglia mai, l’interno sinistro a fil di palo. Neuer è un camion che si abbatte su Higuain. Ozil è il solito viso pallido, raccoglie violette. Alla fine è solo mischia furibonda. Germania che sale e cresce, Garay un muro con la faccia da indio. Imperforabili gli argentini. Di là immenso Schweinsteiger, insuperabile Jerome Boateng. Palacio si pappa questo mondo e non ne avrà un altro. Shurrle e Goetze scrivono il lieto fine. Lieto perché giusto.